la Repubblica-Bari compie 20 anni. Per celebrare la presenza di uno dei più importanti quotidiani europei nel capoluogo pugliese, mi è stato chiesto di ripercorrere le emergenze ambientali che hanno purtroppo fatto da corollario a questi quattro lustri. Questo è il mio contributo, breve ma significativa sintesi di quel che è accaduto (la Repubblica-Bari, 21 novembre 2020)
Negli ecosistemi tutto si tiene. Le relazioni fra dinamiche naturali ed attività umane sono alla base degli avvenimenti che, nel bene e nel male, segnano le nostre vite ed i nostri territori. In questi ultimi venti anni la Puglia è stata attraversata da emergenze ambientali che ne hanno messo a dura prova resistenza e capacità di reazione. Citiamo solo alcune di esse. Cominciamo dalla trasformazione del tavolato calcareo dell’Alta Murgia, il cosiddetto “spietramento”. Nel corso di alcuni anni, almeno fino al 2004 con l’istituzione del Parco Nazionale, circa 50.000 ettari di cosiddetto “suolo saldo”, pascolo naturale con roccia calcarea affiorante, habitat considerato di assoluta tutela a livello europeo, furono trasformati illegittimamente in suoli poveri destinati a coltivazioni di cereali su cui ottenere gli aiuti comunitari della PAC. I processi penali che ne sono seguiti, frutto dell’ “Operazione Apocalisse” della Procura della Repubblica di Trani, si sono risolti per la maggior parte con assoluzioni e prescrizioni. Poche condanne.
Le alluvioni del XXI secolo
Quelle trasformazioni hanno dato luogo ad un dissesto idrogeologico le cui conseguenze si sono viste tragicamente nell’autunno del 2005 e poi del 2006 con le alluvioni che trasformarono alcune zone della Terra di Bari in immensi acquitrini. Le lame che dalla Murgia arrivano in Adriatico si riempirono in un batter d’occhio di fango, detriti e rifiuti. A Cassano delle Murge la violenza dell’acqua così integrata portò via un terrapieno, che ostruiva una lama di cui ci si era dimenticati, su cui correva una strada provinciale. E portò con sé anche vite umane. Così a lama San Giorgio a Bari. Il treno sulla tratta Taranto-Bari, tra Acquaviva delle Fonti e Sannicandro di Bari, rimase sospeso nel vuoto perché la forza dell’acqua, a causa anche di un’opera idraulica malfatta, trascinò con sé il terrapieno. Il dissesto idrogeologico ha richiamato da allora molte centinaia di milioni di Euro per porvi rimedio, ma il vero problema è che se non si sistemano i suoli saldi a monte, il peggio accadrà ancora a valle. Negli anni ’20 del secolo scorso il regime fascista lo comprese bene ed approntò la Foresta di Mercadante ed i canali scolmatori che hanno salvato Bari da ulteriori alluvioni per quasi un secolo.
Bari: la città mangiasuolo
Altra emergenza ambientale è sicuramente quella del consumo di suolo inteso come occupazione ed impermeabilizzazione di suolo libero per l’allargamento dei centri urbani e per l’insediamento di strutture ed infrastrutture. I dati elaborati ogni anno dall’ISPRA fotografano una realtà impietosa. La Puglia, ormai da diversi anni, si colloca al terzo posto nella graduatoria nazionale di questo non apprezzabile torneo. Negli ultimi venti anni l’occupazione con asfalto e cemento di molta parte degli oltre 800 chilometri di costa ha contribuito molto al non invidiabile posizionamento. Bari la fa da padrona in questo senso e non sembra si riesca a porre un freno alla dispersione urbana (il cosiddetto “sprawl”), risultato di pianificazioni urbanistiche degli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso che avevano proiezioni demografiche per gli anni attuali almeno doppie della popolazione oggi residente.
I mari depredati
Non possiamo dimenticare, infine, le emergenze ambientali marine. Anche in questo caso, volendo elaborare priorità la prima è l’asportazione di specie che hanno particolare importanza per la biodiversità e per la funzionalità degli ecosistemi marini. Ci riferiamo a specie, come quelle dei cavallucci marini e le oloturie, che fino a 15-20 anni fa non avevano praticamente domanda sul mercato. La forte richiesta di esemplari di cavallucci marini da parte dei Paesi orientali ne ha fatto poi aumentare in modo esponenziale il prelievo. Il risultato è una perturbazione drammatica della diversità biologica. Nel caso del Mar Piccolo a Taranto, il prelievo abnorme di oloturie sta producendo un lento e progressivo accumulo di detriti e di materiale organico sul fondo non più riciclato dalle stesse oloturie facendo venir meno alimenti per alghe e coralli.
Fabio Modesti