Le obbligazioni economiche assunte con i Comuni dalle imprese delle rinnovabili prima del 2010, vanno onorate. Lo dice il Consiglio di Stato nella sentenza che riguarda il Comune di Ordona, in provincia di Foggia
di Fabio MODESTI
In copertina, torre eolica sui Monti Dauni (FG) – foto Antonio Sigismondi –
I Comuni potrebbero ora incassare le somme pattuite, prima delle Linee guida ministeriali del 2010, con le aziende che hanno installato impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili su quei territori. Da allora in poi, come ribadito dalla legge di bilancio dello Stato 2019 e confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 46/2021, niente più soldi agli enti locali ma opere fisiche di compensazione ambientale e paesaggistica. Però fino all’entrata in vigore del decreto ministeriale le cifre convenute vanno pagate. È quello che ha stabilito il Consiglio di Stato – Quinta sezione con una sentenza depositata il 1. febbraio scorso. La vicenda ha visto contrapposti il Comune di Ordona, in provincia di Foggia, inizialmente soccombente nel giudizio dinanzi al Tar Bari, e la società Parco Eolico Ordona s.r.l.
Gli impegni delle parti
Quest’ultima ha realizzato in quel territorio un impianto eolico industriale per conto della Inergia S.p.A. e questa aveva stipulato con il Comune foggiano nel luglio 2006, prima dell’autorizzazione unica regionale rilasciata nel 2019, una convenzione con la quale si impegnava a corrispondere vari compensi a titoli di indennizzi e di canoni più un corrispettivo annuo fissato dell’1% del fatturato annuale proveniente dalla vendita di energia elettrica all’attuale Gestore del Sistema Elettrico nazionale (Gse) ed un corrispettivo una tantum all’apertura del cantiere di 100.000 euro. Il Comune, da parte sua, si obbligava «a non rilasciare ulteriori permessi di costruire, nell’area di insediamento del campo eolico e della relativa fascia di rispetto individuate nel medesimo progetto, per la realizzazione di opere che, per la loro natura e tipologia, potrebbero penalizzare la gestione dell’impianto o comportare una riduzione della produzione delle turbine installate dalla società Inergia s.p.a. […]». Ma, come un po’ tutte le società nel campo delle rinnovabili, anche Inergia aveva bloccato i pagamenti in favore del Comune di Ordona in attesa che subentrasse la norma, poi effettivamente intervenuta con legge di bilancio per il 2019. Il Comune aveva così notificato a Inergia un’ingiunzione di pagamento di 135.512,28 euro impugnata dalla società romana dinanzi al Tar Puglia che ha dato torto al Comune foggiano.
Nella convenzione nessuno scambio
Il Consiglio di Stato ora ha riformato quella sentenza ritenendo che con la convenzione stipulata nel 2006 «le parti abbiano previsto “misure di compensazione” a carattere meramente patrimoniale a carico della società privata e a beneficio dell’amministrazione comunale» e che il do ut des convenuto tra Comune e società non poteva «indurre a dire l’accordo sorretto da una causa di scambio». «La società privata, infatti, – proseguono i giudici di Palazzo Spada – era già nella disponibilità dei terreni sui quali sarebbe stato impiantato il parco eolico (per esserne proprietaria o titolare del diritto di superficie) e, dunque, nessuna facoltà di utilizzo di beni pubblici avrebbe acquisito dall’amministrazione comunale in cambio del “canone”; l’impegno a non rilasciare permessi di costruire a terzi che ne avessero fatto richiesta era descritto in convenzione in maniera generica e indeterminata, tale da non assurgere ad obbligo giuridicamente vincolante, fermo restando, in ogni caso, la natura di tale potere amministrativo vincolato alle condizioni previste dalla legge, tra le quali proprio la salvaguardia della c.d. fascia di rispetto. Dell’apporto procedimentale – da intendere come impegno a non ostacolare il buon esito del procedimento avviato in sede regionale dalla società per ottenere l’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 – che il Comune assume aver assicurato con la convenzione, non v’è traccia nelle clausole di questa. Si aggiunga, poi, che le “misure di compensazione” comprendono tutti gli interventi rivolti a ridurre gli effetti deteriori dell’impatto di una opera da realizzare sul contesto ambientale in cui è collocata […]; esse si distinguono dalle “misure di mitigazione ambientale” o di “riequilibrio ambientale”, poiché non strettamente collegate all’opera da realizzare, la quale resta immutata nella sua composizione e negli effetti che produce […]. È corretto, pertanto, affermare che con le misure compensative si vuol sostituire una risorsa ambientale che si assume deteriorata con una risorsa considerata equivalente (in ciò, appunto, consisterebbe la “compensazione”). Ne segue, quale logica conseguenza, che la risorsa acquisita dalla cittadinanza in sostituzione può essere anche una risorsa meramente patrimoniale, per la natura illimitatamente scambiabile del denaro. Per le clausole in cui era articolata, la convenzione in esame prevedeva misure di compensazione a carattere meramente patrimoniale». E la sentenza della Corte costituzionale n. 46/2021 sul caso in questione, a detta del Consiglio di Stato, conferma la validità di quella convenzione così com’è stata scritta.
Fabio Modesti