Un’importante ricerca sui boschi di faggi ed abeti nel parco nazionale del Pollino traccia il futuro della loro salvaguardia attraverso le analisi storiografiche delle fonti locali. Ne viene fuori un avvincente ricostruzione delle modifiche economiche, ambientali e paesaggistiche determinate dall’uomo nei millenni
In copertina, foreste di faggi, abeti e cipressi nel parco nazionale del Pollino – foto ©Fabio Modesti
di Fabio Modesti
L’ecologia storica per la pianificazione forestale e per la tutela degli habitat forestali più minacciati. Per dirla più semplicemente, la conoscenza della storia delle successioni ecologiche di determinati territori per capirne il presente ed orientare il futuro. È il prezioso lavoro di un gruppo di ricercatori italo-americani dell’Università statunitense del Nevada e di quella italiana della Tuscia (Scott A. Mensing – geografo -, Edward M. Scolaro – storico -, Francesco Solano e Gianluca Piovesan – ecologi forestali -). Di ecologia storica ce ne siamo occupati qui, qui e qui in occasione della morte di uno dei fondatori di questa importante branca scientifica, l’inglese Oliver Rackham. Il lavoro pubblicato qualche mese fa, utilizzando in particolare la palinologia (raccolta di pollini e spore nei sedimenti accumulatisi nel tempo), illumina una parte del territorio del parco nazionale del Pollino, l’area di Lago del Pesce (Francavilla sul Sinni) esteso appena un quarto di ettaro, che ospita un residuo di bosco misto a faggio-abete (Fagus sylvatica – Abies alba), habitat prioritario per la conservazione della biodiversità in Europa.
La foresta e le instabilità sociopolitiche
«I pollini raccolti – scrivono i ricercatori – ci hanno mostrato come nel X secolo d.C. fosse presente un ambiente aperto che è stato rapidamente colonizzato dall’abete bianco quando le instabilità sociopolitiche hanno ridotto le pressioni antropiche nelle foreste di montagna. Il massimo della copertura forestale e della biomassa fu raggiunto tra il XIV e il XVII secolo in seguito all’abbandono della terra a causa di ricorrenti epidemie di peste. Questo processo di rinaturalizzazione si riflette anche nella storia del reclutamento del pino loricato (Pinus heldreichii) nella fascia di elevazione subalpina. I nostri risultati mostrano che gli impatti umani sono stati uno dei principali motori della contrazione della popolazione di abete bianco negli ultimi secoli nel Mediterraneo e che la rimozione della pressione umana diretta ha portato al rinnovamento dell’ecosistema».
Le narrazioni storiche
«Le narrazioni storiche – scrivono i ricercatori – rappresentano un pilastro fondamentale degli studi di ecologia storica. In questo studio, le narrazioni storiche dettagliate sono state considerate come parte del contesto ambientale che limitava le dinamiche del paesaggio forestale. Abbiamo considerato il profilo storico dell’area concentrandoci sulla fondazione di insediamenti, monasteri e città vicine al sito, cambiamenti nell’uso e nella gestione del territorio (ad esempio, regolamenti monastici e borbonici), grandi eventi regionali descritti dalla letteratura secondaria (ad esempio, l’unità d’Italia)».
Il dominio normanno
Nell’interessante ricostruzione storica si fa riferimento, tra gli altri, al periodo dal 1070 al 1330 d. C. per il quale i ricercatori scrivono che «al passaggio dal X all’XI secolo, la brusca diminuzione dei taxa carbonatici, dei funghi coprofili e delle piante erbacee e l’aumento esponenziale dell’abete bianco potrebbero essere collegati ad una fase climatica fresca umida caratterizzata da eventi alluvionali e da una maggiore persistenza del manto nevoso nel montagne supportate da fonti paleoclimatiche indipendenti. In alternativa, la rapida conversione da prateria a foresta dominata dall’abete bianco nell’XI secolo potrebbe essere il risultato di nuove priorità di gestione forestale introdotte dai Normanni in un momento in cui un clima più fresco e umido facilitava l’espansione forestale. Nell’XI secolo, l’arrivo dei Normanni portò nella regione una nuova serie di priorità sociopolitiche, attività reperite nei testi narrativi latini medievali». Ed ancora, «il dominio normanno locale introdusse nuove restrizioni allo sfruttamento delle foreste, in quanto i Normanni riconobbero le preziose risorse che potevano essere prelevate dai boschi (es. carri, attrezzi agricoli, travi per edifici). […] Per l’utilizzo delle risorse forestali era richiesto il pagamento di un tributo e per specie forestali di pregio come l’abete bianco, l’olmo o il cipresso, specie di particolare interesse perché le loro dimensioni ne consentivano l’utilizzo per le travature, venivano applicate norme specifiche. […] La singolare espansione dell’abete bianco, verificatasi all’inizio dell’XI secolo nel Lago del Pesce, potrebbe essere interpretata come un processo naturale (vale a dire, rewilding), un processo guidato dall’uomo (ad esempio, gestione forestale e/o cure speciali verso l’abete bianco), o più probabilmente una combinazione dei due». Seguono periodi in cui le pestilenze ridussero le popolazioni e consentirono di raggiungere la massima copertura forestale dal XIV alla prima metà del XVII secolo, interpretazione supportata anche dalla documentazione storica di foreste fitte e selvagge intorno al monastero di San Nicola in Valle, fondato nel 1395 e situato immediatamente sotto il sito di studio.
Lo scenario prossimo
La ricostruzione storica spinge i ricercatori ad evidenziare che «la capacità dell’abete bianco di colonizzare terreni abbandonati e di far parte delle prime fasi di sviluppo forestale in ambiente oro-mediterraneo» consentirà all’abete bianco di entrare in contatto con il pino loricato nella fascia altimetrica subalpina. Come suggerito dalla ricostruzione della storia del paesaggio mediterraneo in questa parte del Pollino, l’abbandono delle pratiche boschive montane non porta al dominio completo del faggio sull’abete bianco. «L’elevata tolleranza all’ombra dell’abete bianco – dicono i ricercatori – ne garantisce la competitività sotto boschi maturi di faggio dove, in assenza di specifiche pressioni da parte di agenti fisici e biologici esterni, la rigenerazione si stabilisce vigorosamente». Indicazioni fondamentali per la gestione degli ecosistemi forestali nel parco nazionale del Pollino. Una ricerca, quella di cui ci siamo occupati, che tutte le aree protette dovrebbero attivare.