Pecore, capre e vacche contro la desertificazione – 2

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Il pascolamento brado contro la tendenza alla desertificazione dei suoli, è una sfida che come protagonista fondamentale il pastore, da sempre parte integrante dell’ecologia del pascolo. 

 

 

di Rocco Sorino – Il pascolo brado chiamato tecnicamente paddocking, che consiste nel far pascolare liberamente gli animali su superfici recintate più o meno grandi senza la presenza del pastore, permette di risparmiare sul personale ma non sulla perdita di alcuni capi che possono essere predati con facilità. Per esempio, prima dell’arrivo del lupo sulle Alpi gli animali (ovicaprini in asciutta e manze) venivano lasciati e fatti pascolare liberamente da giugno ad ottobre e il controllo veniva fatto una volta alla settimana.

Inoltre questa pratica consente agli animali di:

i) utilizzare per selezione sempre la stessa risorsa (piante più appetite) portando alla scomparsa di alcune specie con conseguente omogeneizzazione della varietà del cotico erboso con successiva esposizione del suolo al dilavamento ed erosione per eccessivo calpestio;

ii) di interagire con gli erbivori selvatici innescando processi competitivi diretti per occupazione dello stesso spazio e indiretti per utilizzazione e sottrazione della stessa risorsa trofica con conseguente abbandono delle aree da parte della componente selvatica (“esclusione competitiva”), processi evidenziati in Italia da Bassano su camoscio e dal sottoscritto su capriolo.

Il pastore è stato da sempre parte integrante dell’ecologia del pascolo, in Puglia fatta eccezione del Gargano gli animali sono stati sempre portati al pascolo. Il pastore decide le aree da pascolare e i tempi di permanenza (in gergo per esempio si dice “girare le pecore”: dopo qualche tempo gli animali vengono fatti andare in un’altra direzione per utilizzare un altro settore) e questi parametri sono se pur in maniera empirica il motore che mantengono in equilibrio la diversità e dinamicità dei pascoli. Il pastore conosce le conseguenze che il sovrautilizzo della risorsa può provocare alle aree di pascolo e quindi di conseguenza agli animali. Tali conseguenze le ha apprese sia guardando lo stato delle erbe che compongono i pascoli che gli animali (per es. accrescimento ponderale, lucidità della lana, quantità del latte). Inoltre la presenza del pastore con l’ausilio dei cani da guardiania potrebbe mitigare gli impatti della predazione da parte dei predatori. Uccidere un lupo non risolve il problema poiché in questa specie è stato osservato più volte un forte turn over, il posto di quell’individuo ucciso viene immediatamente occupato da un altro individuo precedentemente satellite o in dispersione.

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Capre garganiche al pascolo con la guida del pastore (Ph.: R. Sorino)

Controllare, sorvegliare e guidare un gregge è una pratica che si perde nella notte dei tempi. Gli animali venivano e vengono spostati (transumanza a diverse scale) sia per offrire loro cibo che per garantire il ricaccio del cotico erboso pascolato in maniera oculata, senza eccessivo utilizzo. Solo per fare un ulteriore esempio del ruolo del pastore, basta considerare le “aree di sanificazione”.  Gli animali venivano spostati e fatti pascolare per alcuni giorni in alcune aree specifiche dove attraverso la defecazione lasciavano i parassiti intestinali limitando così la contaminazione di tutto il territorio pascolabile. In natura, alcuni studi condotti sullo stambecco hanno evidenziato come gli animali si alimentano ad una certa distanza dagli escrementi proprio per limitare il contagio ed è chiaro che nelle popolazioni dei domestici il pastore è veramente un elemento ecologico centrale che si attua e prende forma attraverso la gestione del gregge e dei pascoli.

L’attività del pastore oggi deve essere vista e vissuta come una professione. L’attivazione di corsi specifici, di una scuola specifica, sarebbe auspicabile al fine di capovolgere quelle valutazioni empiriche in osservazioni oggettive; il pastore è sul campo, osserva e vive il territorio tutti i giorni con qualsiasi condizione metereologica. Formare il pastore (soprattutto le nuove generazioni) all’osservazione naturalistica sarebbe molto utile anche all’acquisizione di alcuni dati e informazioni naturalistiche che sono alla base della pianificazione territoriale e della conservazione dei beni e risorse naturali.

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