Nella seconda pianura più vasta d’Italia, sorprese di biodiversità e di storia. La memoria della transumanza e l’attualità della monocoltura cerealicola. Poi, boschi igrofili relitti, zone umide costiere salvate e lontre e cicogne. Spingendosi fino alle porte dell’Alta Murgia (la Repubblica-Bari 24 luglio 2020)

osì, siamo scesi a valle dalla Montagna del Sole, dal Gargano, fino a giungere all’immensa pianura, al Tavoliere. Circa 400mila ettari, la seconda pianura d’Italia. Qui il caldo si fa sentire, l’aria è ferma come in tutte le pianure. Chiuso tra i Monti Dauni ad ovest, il promontorio a nord, l’Adriatico ad est e l’Ofanto a sud, nel Tavoliere si nascondono sorprese inaspettate. Questo “deserto” in realtà non è mai stato tale. Florido di colture negli ultimi secoli a.C., saccheggiato durante le campagne militari di Annibale, reimpaludatosi divenne il centro della transumanza per i pascoli floridi fino almeno al XIX secolo. Poi, bonifiche e trasformazioni agrarie ne hanno segnato l’attuale assetto. Le sue vestigia naturali rimasero impresse anche nei francesi con a capo Odet de Foix, visconte di Lautrec, che tra il 1527 ed 1528 occuparono e devastarono il Tavoliere nella guerra contro gli spagnoli: videro venir fuori dai boschi qualcosa che essi scambiarono per uno squadrone di cavalleria nemica ma che in realtà era un enorme branco di cervi. Fino almeno al 1865 le “lunghe vie erbose”, i Regi tratturi, con tratturelli, bracci, poste, riposi e varie locazioni, hanno visto transitare decine o centinaia di miliardi di capi ovini, bovini ed equini da e verso i monti abruzzesi ed anche laziali; da e verso i pascoli grassi paludosi del Tavoliere e dell’Ofanto.


Quel che resta di transumanza e paludi
Mutuando una definizione dello storico Piero Bevilacqua, «la transumanza si può definire come un modello di adattamento della vita produttiva a quadri naturali dominati dalla malaria». Oggi, la cerealicoltura, con la coltivazione di pomodori e di altre orticole, ha trasformato profondamente, mediante le bonifiche avviate all’inizio del XX secolo, il Tavoliere. I primi interventi di bonifica ebbero inizio all’inizio dell’800 sul pantano di Verzentino che si estendeva, per circa 6.500 ettari, dal lago Contessa a Manfredonia fino al Lago Salpi. I torrenti Cervaro, Candelaro e Carapelle, che interessavano l’intera fascia da Manfredonia all’Ofanto, all’epoca si caratterizzavano per frequenti allagamenti stagionali lungo il litorale. Le azioni di bonifica, fino agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso, hanno interessato ben 85mila ettari di cui 15mila di aree lacustri (tra cui i laghi Salso e Salpi), 40mila di aree interessate da esondazioni autunno-invernali dei torrenti e 30mila di aree paludose. Oggi, le aree a pascolo naturale sono ormai ridottissime occupando meno dell’1% del Tavoliere. La testimonianza più significativa degli antichi pascoli è attualmente rappresentata dalle poche decine di ettari dell’Ovile Nazionale a Borgo Segezia, vicino Foggia. Istituito nel 1921 ancora a dimostrazione che l’economia pastorale aveva un ruolo straordinario, l’Ovile è oggi distrutto ed in disuso ma merita una visita per rendersi conto anche della sua importanza naturalistica. Le aree naturali occupano solo il 4% dell’intero Tavoliere con relitti straordinari di biodiversità ancora miracolosamente presenti, chissà ancora per quanto. Le zone umide sono concentrate lungo la costa tra Manfredonia e Margherita di Savoia e costituiscono il 2% della superficie naturale.


Bosco Incoronata ancora feudale
I relitti delle aree boschive, tanto care anche a Federico II per la caccia col falcone, assumono particolare rilevanza nel Bosco dell’Incoronata, oggi parco naturale regionale, sulle anse del fiume Cervaro a pochi chilometri da Foggia. Qui è ancora possibile immergersi in boschi ripariali con salice bianco, salice rosso, olmo, pioppo bianco, farnia. Qui, qualche mese fa, una storica sentenza del Commissario per gli usi civici della Puglia, ha restituito ai cittadini (ai cives) l’uso di territori che il Comune di Foggia voleva alienare. È stato ribadito che ubi feuda ibi demania, ossia laddove un territorio è stato soggetto ad usi civici prima della sua infeudazione a favore di un vassallo, i diritti civici restano riservati alla popolazione. E risulta, così, che Bosco Incoronata ha ancora natura feudale e non è mai stato classificato diversamente dal Comune di Foggia. Per chi volesse ripercorrere la storia e vedere la natura ancora conservata nel Tavoliere fino alle zone umide costiere di Manfredonia, Zapponeta, Margherita di Savoia e di Barletta, raccomandiamo di rivolgersi al Centro Studi Naturalistici di Foggia (http://www.centrostudinatura.it/ – info@centrostudinatura.it – Facebook: @centrostudinaturalistici – Tel.: 348 044 2898 – 347 303 7851). Si arriva così alla foce dell’Ofanto, il fiume che è al contempo cesura e sutura territoriale tra il nord della Puglia e la Terra di Bari.

L’Ofanto delle sorprese
Su questa ambivalenza si sono giocati e si giocano la sua storia, il suo presente ed il suo futuro. Oggi l’Ofanto è la strana combinazione della pervicacia regolatoria del flusso idrico da parte umana e della capacità di resistenza di una biodiversità sempre più ridotta. Chi l’avrebbe mai detto che la lontra avrebbe potuto ancora trovare spazio tra le sue acque? La popolazione presente in Puglia ha il nucleo principale nel tratto fluviale della Basilicata che svolge certamente una funzione di “sorgente”. Risalendo il corso dell’Ofanto, oggi parco naturale regionale, fino ai confini con la Basilicata, si ripercorre la storia della parte più ricca della Puglia. Tra relitti pioppi bianchi con diametro di svariati metri – fra i più grandi d’Italia -, l’importante presenza di una specie endemica di pesce d’acqua dolce, l’Alborella appenninica, la presenza tornata ormai costante di cicogne bianche (il simbolo della città di Cerignola che al fiume e ad esse deve la sua fortuna) e delle più rare cicogne nere, si giunge ai valloni di Spinazzola, porta dell’Alta Murgia. Lì l’acqua scompare per far posto ad aree predesertiche nelle quali ci addentreremo. Da lì ripartiremo.


Fabio Modesti