Corriere del Mezzogiorno – Puglia del 15 novembre 2022, pp. 1-10
di Fabio Modesti
Ogni riccio un capriccio, recita un vecchio proverbio popolare. Capriccio che ci costa caro in termini economici ed ambientali. Parliamo dei ricci di mare (Paracentrotus lividus) che ormai possiamo considerare quasi estinti nei nostri mari. Una leccornia soprattutto per i baresi che vengono educati fin da piccoli a raccoglierli dai fondali marini ed a gustarli. Il problema è che il prelievo fuori controllo ormai in tutti i mesi dell’anno, le difficoltà e la scarsa remuneratività della riproduzione di questa specie in cattività o in vitro (per arrivare a dimensioni commerciabili il riccio di mare ci impiega non meno di tre anni), hanno fatto sì che i ricci siano quasi scomparsi. Chi ha depredato i fondali ora sta depredando quelli lontani da casa. E poiché quel che si mangia dei ricci è l’apparato riproduttivo va da sé che il rapporto tra domanda ed offerta è totalmente falsato. Per tentare di tutelare la specie, il consigliere regionale Paolo Pagliaro ha presentato una proposta di legge in Consiglio regionale, sottoscritta da altri consiglieri, compreso il Presidente Michele Emiliano ma stranamente non da altri consiglieri che si dicono paladini della transizione ecologica impiantando torri eoliche e specchi solari in ogni dove. La proposta, composta da quattro articoli, ha come obiettivo quello di imporre una sospensione della raccolta di ricci di mare per tre anni. Un fermo biologico da applicare «nel mare territoriale pugliese». L’eventuale legge diverrà operativa solo a seguito di una deliberazione della Giunta regionale, da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore. La finalità della proposta è da condividere appieno. Da una ricerca condotta nella sola Sardegna nel 2014, è emerso che le 189 imprese autorizzate hanno raccolto complessivamente ed annualmente almeno 21.357.000 ricci di mare per un valore di oltre 2,7 milioni di euro a cui bisogna aggiungere il valore del raccolto illegale con un valore medio di ulteriori 4 milioni di euro. Alcuni problemi, però si pongono. Il primo riguarda, come accennato, la difficoltà di mettere in piedi una riproduzione di successo dei ricci anche con il metodo della disseminazione in mare. I tentativi finora effettuati non pare abbiano dato risultati di efficacia in tempi brevi e per investimenti sostenibili privati. La seconda è la possibile contestazione di legittimità costituzionale della norma. La Corte costituzionale si è già espressa alcune volte sulle eventuali competenze delle Regioni sulle acque marine “territoriali” regionali con alterni orientamenti. Al proposito, la buona notizia proviene ancora dalla Sardegna, Regione a Statuto speciale, che con alcuni commi della sua legge n. 17 del 2021 ha vietato la raccolta di ricci per tre anni. Quella legge è stata impugnata dal governo dinanzi alla Corte costituzionale che ne discuterà probabilmente nel nuovo anno, ma non sono state impugnate le norme di tutela del riccio di mare.