Dai valloni di Spinazzola giù fino a tagliare in due il Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Un itinerario mozzafiato tra le rupi occidentali, la sommità dell’altopiano ed i boschi orientali del Parco (la Repubblica-Bari, 31 luglio 2020)


probabile che da qui, dai valloni di Spinazzola, siano arrivati i primi lupi che hanno ricolonizzato l’Alta Murgia. In realtà si tratta ad oggi di alcune decine di esemplari, nulla di che. Ed è accaduto nei primi anni 2000, quasi in concomitanza con l’istituzione del parco nazionale. Qualcuno ama pensare che siano stati calati con gli elicotteri, come nelle vignette satiriche. La realtà è molto più “naturale”. Si sono spostati dall’Appennino lucano e dal Molise per predare i cinghiali che i cacciatori, questa volta sì, hanno quasi calato con gli elicotteri nel medesimo periodo. Dal 2013 i valloni di Spinazzola sono sotto la tutela della direttiva UE “Habitat” perché ospitano l’unica popolazione pugliese di salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata). È stata trovata in un torrente perenne all’interno di una stretta valle con un bosco di cerri alti fino a 20 metri posto a circa 400 metri sul mare. Un habitat molto simile a quello delle foreste pannonico-balcaniche. Insomma, un piccolo eden.
Tra la via Appia ed il Regio tratturo Melfi-Castellaneta
Siamo sul secondo gradino della fossa bradanica avendo a sinistra l’Alta Murgia che si staglia. Siamo tra la via Appia ed il Tratturo Regio Melfi-Castellaneta che passa a mezza costa del costone, in un’area che, procedendo verso la fossa, incontra il reticolo idrografico del Basentello dove la lontra è stata immortalata dalle fototrappole dei naturalisti affianco a lupi che si abbeverano nella notte. È pure il territorio del nibbio reale (simbolo del parco nazionale dell’Alta Murgia) e dove nidifica il raro falco lanario. Purtroppo per lui, quest’anno, senza successo riproduttivo perché l’abbondanza di biodiversità gli ha consegnato come vicini di casa corvi imperiali che non fanno scherzi quanto a predazione di nidiacei. Qui è il bacino idrografico del torrente Capodacqua che prosegue fino al Bosco Difesa Grande di Gravina in Puglia, prima di sversarsi nel Bradano, costituendo uno dei boschi umidi tra i più importanti a livello continentale. Se però si decidesse di deviare il cammino dalla fertile pianura, dove Giustino Fortunato volle la “strada ferrata dell’Ofanto” – la ferrovia tra Rocchetta Sant’Antonio e Gioia del Colle -, per ascendere all’altopiano murgiano, ci si deve preparare a cambi di prospettive e di stati d’animo. Il consiglio è farsi accompagnare dalle Guide ufficiali del parco nazionale dell’Alta Murgia, costituitesi dopo quasi cinque anni di organizzazione e di formazione (https://www.facebook.com/guideufficialialtamurgia – Tel.: 388 959 6554). Si comincia la salita per percorrere 26 chilometri attraverso l’Alta Murgia.

Da Costarizza a bosco Scoparello
L’itinerario non è ancora tracciato e non è segnalato se non per pochissimi tratti. Poco dopo il km 52+400 della S.P. barese 230, in direzione Gravina in Puglia, sulla sinistra c’è uno sterrato carrabile di ingresso a masseria Costarizza, antica stazione di sosta sull’Appia (Statio Silutum). Un tempo tenimento degli Orsini dal Balzo, Costarizza è il punto ideale per fermarsi e proseguire a piedi. Si sale di 100 metri passando ai 600 metri di Murgia di Lamapera. Lo si fa va verso nord, attraversando il fondo di uno dei tanti valloni che segnano questo versante dell’altopiano. I solchi erosivi servono anche a convogliare le piogge a valle e, quindi, bisogna evitare di percorrerli con previsioni di pioggia. Sulla destra della salita è riconoscibile il cosiddetto “sperone di Orlando”, una roccia la cui sommità è un piano inclinato anziché essere rotondeggiante o aguzzo come quelle degli altri rilievi. Dopo la salita, che potrebbe sortire la fortuna di avvistare falchi pellegrini, falchi lanari e corvi imperiali in volo, si arriva all’inizio del tavolato calcareo murgiano. Di fronte, a circa 500 metri, inizia una strada sterrata. Qui il paesaggio è quello della tremenda trasformazione agraria avvenuta tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, il cosiddetto “spietramento dell’Alta Murgia”. È straniante ma allo stesso tempo coinvolgente. Proseguendo, dopo circa due km si arriva ad un nucleo di case rurali della Riforma Agraria degli anni ’50 del secolo scorso.

L’altopiano straniante e l’abisso degli inghiottitoi
A destra dello sterrato la grave (inghiottitoio) importante e profonda di Faraualla (- 235 metri); a sinistra quella altrettanto importante di Previticelli (- 125 metri). Dopo aver superato la chiesetta (sconsacrata) di Santa Teresa si prosegue per circa 700 metri e poi si devia a destra. Il paesaggio e l’ecologia cambiano nuovamente. Ora si va tra pascoli naturali e lame coltivate, regno di falco grillaio, calandra, occhione e del biancone (l’aquila dei serpenti), del ramarro e del cervone. Superata masseria Camerino, si attraversa con attenzione la S.P. 238 e ci si avvia verso la parte orientale del parco nazionale. Si continua tra i pascoli alternati a seminativi fino a raggiungere la strada carrabile che porta alla Cavallerizza, dopo aver lasciato sulla destra il centro visita del parco “Torre Guardiani” in buona attività fino a tre anni fa ed ora chiuso. Proseguendo e superando le cave di calcare, si costeggia e poi si attraversa il bosco di Scoparella, folto ed impenetrabile fino agli anni trenta del XVIII secolo, e quello dei Fenicia, talmente fitto da impedire le operazioni di misurazione al tempo della “reintegra generale” della Regia Dogana delle pecore a metà del XVI secolo. Poco prima del 1800 i Carafa di Andria ne decisero la barbara ceduazione tanto da farli rimanere denudati. Eppure oggi incantano e sono importanti non meno di prima ed accompagnano il parco nazionale per buona parte del suo confine orientale.
Fabio Modesti
