Querce da sughero e boschi relitti nella Terra dei Messapi. Un itinerario che finisce a mare con i giardini di axinelle davanti alla costa di Cerano (la Repubblica-Bari, 14 agosto 2020)

ttraversiamo il territorio dei Messapi lasciando dietro le gravine dell’arco ionico. Da Grottaglie, in quell’ampio spazio ondulato e fertile che abbraccia Villa Castelli, Francavilla Fontana, Oria, Latiano fino a Mesagne e poi a Brindisi. La terra dei carciofeti e degli uliveti, del primitivo e dell’archeologia contiene un tesoro botanico. Depauperato, distrutto per far posto all’agricoltura prima ed a zone artigianali ormai alla deriva, quel tesoro erano un tempo i boschi principeschi, i boschi di caccia, di legna e di sughero. C’era il grande bosco di Oria, di lecci e di latifoglie, dove ancora una volta si dice che Federico II (e dove mai non è stato – nella leggenda -!) amasse andare a caccia col falcone. Quel bosco giungeva fin giù a Manduria fino a mare e ne sono testimonianza i relitti dei boschi di Cutúri e di Rosamarina, tutelati dal 2002 dalla riserva naturale orientata regionale del Litorale tarantino orientale.

Le sugherete
Ma era tutto un susseguirsi di manto verde. Così, a sud-est dell’attuale S.S. n. 7 (Appia) restano alcune piccole ma significative testimonianze dei boschi di querce da sughero più ad oriente che si conoscano. Si è abituati alle sugherete del Portogallo, della Spagna, della Sardegna, della Sicilia ma che ci potessero essere sugherete anche in Puglia, beh!, questo è ben strano. E però la loro origine indigena è confermata da osservazioni che vanno dai primi anni del XIX secolo e da studi specifici a partire da metà del XX secolo. Peraltro non solo di boschi relitti si tratta, ma anche di esemplari radi e ben messi, di notevoli dimensioni, sparsi qua e là come quello presente nel Castello di Casamassella, ad Otranto, che fu di Antonio De Viti De Marco. E che dire dell’esemplare più imponente (5,60 metri di diametro) a pochi chilometri da Ostuni ed, ancora, dell’esemplare che vegeta nel Policlinico di Bari, arrivato lì chissà come? Ma i boschi di Santa Teresa e dei Lucci a Tuturano – Brindisi – sono ancora nella memoria dei contadini anziani perché si estendevano per chilometri fino a Mesagne. In realtà erano 12 ma ne sono rimasti 5 e tutti in provincia di Brindisi. Dal 1947 ad oggi il loro numero si è più che dimezzato e le superfici ridotte oltre l’80%. La loro attuale estensione non supera i 1.200 ettari e sono tutelati dal 2002 dalla riserva naturale regionale orientata affidata in gestione al comune di Brindisi. A Santa Teresa il sughero non viene più prelevato ma fino a qualche anno fa i proprietari di porzioni di bosco chiamavano ditte siciliane per la decorticazione. Un’operazione non semplice e, soprattutto, non eseguibile in qualsiasi periodo ma ogni 8-9 anni. Incendi (l’ultimo, molto violento, nel 2017), e fertilizzanti chimici con pesticidi che scendono da monte, dai carciofeti, minacciano le sughere che però resistono. E resistono anche in altri piccoli nuclei come il Bosco del Compare, appena prima dell’uscita di Brindisi Aeroporto della S.S. n. 379 in direzione sud, oppure nel Bosco Preti ed in quello del canalone di Torricella. Parliamo, nel primo caso, di circa 15 ettari e, nel secondo, di appena 3 ettari.

Il sorprendente Bosco di Cerano
Certo, il territorio brindisino ha dato l’anima per un’industrializzazione che non ha portato tutti i benefici promessi. La controprova sono gli impianti di produzione di energia da fonte eolica e da fonte fotovoltaica che assediano quei boschi, così come Bosco Cutúri a Manduria. Boschi che coesistono con l’area industriale (Sito da bonificare di Interesse Nazionale) e con la centrale termoelettrica ENEL di Cerano a Brindisi sud. Una vita difficile, quindi, per i patriarchi verdi che per ora si sono salvati. È il caso del Bosco di Cerano (riserva naturale regionale orientata dal 2002). Una striscia lunga e stretta di bosco relitto che dalla costa va verso l’interno. E la vegetazione cambia man mano che si procede in questo senso. Sulla costa, formazioni di foresta sempreverde con lentisco, corbezzolo, alaterno e leccio, con quest’ultimo che assume via via dimensioni più considerevoli andando verso l’entroterra. Nell’interno, a circa due chilometri, il leccio cede il posto alla roverella ed il sottobosco ospita biancospino e prugnolo selvatico. Poi, nelle zone più umide, olmi ed il raro carpino nero. Habitat di grande valore nell’ambiente mediterraneo, quindi, cui si associano specie rare di avifauna, almeno per il Salento, come il colorato rigogolo, l’usignolo, il fringuello e, tra i raparci notturni, il gufo comune e l’assiolo. Qui è una delle poche zone del Salento dove il tasso (la milogna, in dialetto, cui tanti toponimi sono dedicati) riesce ancora a sopravvivere ed a farsi la tana che sarà utilizzata anche dalle generazioni future. Ancora qui, in un’area di 3 ettari tra la centrale ENEL ed bosco di Cerano, su suoli agricoli ceduti gratuitamente da un noto ed importante produttore vitivinicolo della zona, è stato portato a termine un interessante progetto di imboschimento con querce da sughero, corbezzoli e querce vallonee, a dimostrazione che il partenariato pubblico-privato, se ben condotto, aiuta la natura a fare il suo mestiere.

I giardini di Axinella
Ora, accaldati ma soddisfatti, tutti a fare il bagno a mare proprio davanti al Bosco di Cerano. La costa è in arretramento e la vegetazione sulla falesia arriva ormai quasi nel mare, quindi molta attenzione. Ma lo spettacolo è vedere il muro verde che si staglia mentre a 25-30 metri di profondità meritano d’essere visitati i poco conosciuti giardini con spugne ramificate molto colorate ed appariscenti, le axinelle. Per visite guidate in questi luoghi il consiglio è rivolgersi ai bravi componenti della cooperativa Thalassia (http://www.cooperativathalassia.com/ – info@cooperativathalassia.it – tel. +39 331 927 75 79 –https://www.facebook.com/ThalassiaCoop/).
Fabio Modesti