Lo dice Jonathan Franzen, l’autore americano più celebrato della sua generazione: appartato in California, scrive romanzi e guarda gli uccelli. Odia i social network ed il dominio dell’io.
Tre giorni fa Jonathan Franzen ha scritto un articolo straordinario su The Guardian e sugli uccelli selvatici, che osserva con un’attività addirittura quasi ossessiva. Il 19 marzo scorso, Franzen ha rilasciato una splendida intervista a Michele Masneri, de Il Foglio, che è andato a trovarlo nella sua casa a Santa Cruz, in Californa, e ne ha rilevato la passione per il birdwatching e per l’osservazione della natura.
Nell’articolo sul Guardian, Franzen dice che per gran parte della sua vita non ha prestato attenzione agli uccelli. Solo ai 40 anni è diventato una persona il cui cuore si alza ogni volta che sente un canto di un beccogrosso pettorosa (Pheucticus ludovicianus) o del towhee (Pipilo erythrophthalmus), e si affretta a vedere un piviere dorato (Pluvialis apricaria) che è stato segnalato nel vicinato, solo perché è un uccello bellissimo, con il piumaggio veramente d’oro e ha volato lì fin dall’Alaska. «Quando qualcuno mi chiede perché gli uccelli sono così importanti per me – scrive Franzen -, tutto ciò che posso fare è sospirare e scuotere la testa, come se mi fosse stato chiesto di spiegare perché amo i miei fratelli. Eppure la domanda è giusta: perché gli uccelli sono importanti?».
«La mia risposta – continua – potrebbe iniziare con la vasta scala del dominio aviario. Se tu potessi vedere ogni uccello nel mondo, vedresti il mondo intero. Esseri piumati possono essere trovati in ogni angolo di ogni oceano e in habitat terrestri così inospitali che sono habitat per nient’altro. Gabbiani grigi (Leucophaeus modestus)sollevano i loro pulcini nel deserto cileno di Atacama, uno dei luoghi più aridi della Terra. I pinguini imperatori (Aptenodytes forsteri) incubano le loro uova in Antartide in inverno. Gli astori (Accipiter gentilis) nidificano nel cimitero di Berlino dove è sepolta Marlene Dietrich, passeri nei semafori di Manhattan, rondoni nelle grotte marine, avvoltoi sulle scogliere dell’Himalaya, fringuelli a Chernobyl. Le uniche forme di vita più ampiamente distribuite rispetto agli uccelli sono microscopiche.».
Franzen prosegue citando le differenze comportamentali che fanno degli uccelli selvatici una meraviglia del Pianeta: «Gli uccelli non sono meno diversi nei comportamenti. Alcuni sono altamente sociali, altri antisociali. I quelea beccorosso (Quelea quelea) e i fenicotteri (Phoenicopterus roseus Pallas) si radunano in stormi di milioni e i parrocchetti (Psittacula krameri) costruiscono intere città su tralicci. I merli acquaioli (Cinclus cinclus) camminano da soli e sott’acqua, sui letti dei torrenti di montagna, e un albatro urlatore (Diomedea exulans) errante può planare con la sua apertura alare di tre metri a 500 miglia di distanza da altri albatros. Ho incontrato uccelli simpatici, come il fantail della Nuova Zelanda (Rhipidura fuliginosa) che una volta mi ha seguito lungo una pista e ho incontrato quelli mediocri, come il caracara striato (Phalcoboenus australis Gmelin) in Cile che piombava giù e cercava di beccarmi la testa quando lo fissavo troppo a lungo. I corridori della strada (Geococcyx californianus) uccidono serpenti a sonagli per cibarsene facendo sì che un uccello distragga il serpente mentre un altro si insinua dietro di esso (…)».
Franzen conclude il suo importante articolo con alcune riflessioni su ruolo e funzione degli esseri umani nei confronti degli uccelli: «Una persona che dice “C’è troppo male nei confronti degli uccelli, ma gli esseri umani vengono prima” sta facendo una delle due affermazioni implicite. Può voler dire che gli esseri umani non sono meglio di qualsiasi altro animale – e cioè che i nostri sé fondamentalmente egoisti, motivati da geni egoisti, faranno sempre tutto il necessario per replicare i nostri geni e massimizzare il nostro piacere, il mondo non umano sia dannato. Questa è la visione dei cinici realisti, per i quali la preoccupazione per le altre specie è solo una fastidiosa forma di sentimentalismo. È una visione che non può essere smentita, ed è disponibile per chiunque non si preoccupi di ammettere che lui o lei è irrimediabilmente egoista. Ma “gli esseri umani vengono prima” potrebbe anche avere il significato opposto: ossia che la nostra specie è singolarmente degna di monopolizzare le risorse del mondo perché non siamo come gli altri animali, perché abbiamo la coscienza ed il libero arbitrio, la capacità di ricordare il nostro passato e modellare il nostro futuro. Questa visione opposta può essere trovata tra i credenti religiosi e gli umanisti laici e anch’essa non è né verosimilmente vera né dimostrabile. Ma solleva la domanda: se siamo incomparabilmente più degni di altri animali, non dovremmo la nostra capacità di discernere il bene dal male e sacrificare consapevolmente qualche piccola parte della nostra convenienza per un bene più grande, rendendoci più sensibili alle pretese della natura, piuttosto che meno? Non è vero forse che un’abilità unica comporta una responsabilità unica?».
“La loro indifferenza per noi dovrebbe servire come promemoria del fatto che non siamo la misura di tutte le cose. Le storie che raccontiamo del passato e che immaginiamo per il futuro sono costruzioni mentali di cui gli uccelli possono fare a meno. Gli uccelli vivono direttamente nel presente”
Ed ancora: «L’alterità radicale degli uccelli è parte integrante della loro bellezza e del loro valore. Sono sempre in mezzo a noi ma mai parte di noi. La loro indifferenza per noi dovrebbe servire come promemoria del fatto che non siamo la misura di tutte le cose. Le storie che raccontiamo del passato e che immaginiamo per il futuro sono costruzioni mentali di cui gli uccelli possono fare a meno. Gli uccelli vivono direttamente nel presente. E allo stato attuale, anche se i nostri gatti, le nostre finestre e i nostri pesticidi uccidono miliardi di loro ogni anno, e anche se alcune specie sono state perse per sempre, il loro mondo è ancora molto vivo. In ogni angolo del globo, nei nidi piccoli come noci o grandi come covoni di fieno, i piccoli stanno beccando i loro gusci venendo alla luce.».