Il promontorio dell’anima

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Sul Gargano si comincia da Lesina in una bella pineta di pino napoletano, si prosegue tra spiagge equatoriali e macchia mediterranea. Poi, ci si perde nel nemus garganicus (la Repubblica – Bari 10 luglio 2020)

Una marotta tirata a secco a Lesina (sullo sfondo la Majella imbiancata). Nelle marotte vengono conservate le anguille dopo la pesca (Foto Fabio Modesti)

 

n blocco unico di calcare che si protende in Adriatico cercando il contatto con i Balcani occidentali. Questo è il promontorio garganico come appare ed è apparso a chiunque gli si sia avvicinato e gli si avvicini ancora adesso. Un’isola biologica ma anche antropologica, quasi per caso collegata alla penisola italica ma comunque ben distinta. Il Fortore ad ovest ed il Candelaro a sud a fare da confini. Poi, lagune e terre fertili da bonifica a nord, accompagnate da declivi che quasi si gettano in mare e che salgono insistentemente e prepotentemente verso l’interno della Montagna del Sole. Un misto di arcaica potenza, di mitologica forza e di sacra maestosità. Nel 2020 queste percezioni sono ancora in gran parte intatte. Se si arriva in auto dall’operoso nord, prima di arrivare al casello d’uscita di Lesina-Poggio Imperiale bisogna oltrepassare il torrente Saccione, confine con il Molise, e tutta la parte relitta dello splendido litorale adriatico baffo del Fortore per buona parte compromesso ma ancora con alcune vestigia di dune mobili e fossili con ginepri. Guardando a destra, nell’entroterra, ecco Chieuti, comunità arbëreshë che vorrebbe andare col Molise, e Serracapriola il cui nome racconta della distesa di boschi termofili pieni di caprioli. E si è già nel parco nazionale del Gargano. Si continua e si supera il Fortore, primo vero corridoio ecologico della Puglia che ancora oggi funziona così.

Scorcio della laguna di Lesina con molo in legno (Foto Fabio Modesti)

Il tombolo magico

Si giunge alla sacca occidentale della laguna di Lesina anticipata dalla devastazione urbanistica degli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso. Il canale Acquarotta fa da limite all’oltraggio che ha coinvolto pure Punta pietre nere, straordinario complesso di rocce vulcaniche del Triassico. Prima di proseguire, possibilmente a piedi, a cavallo oppure in bici, conviene fare un salto al centro visite della laguna di Lesina (www.centrovisitelesina.itcentrovisite@comunelesina.it – tel. 0882 707455) anche per organizzare visite guidate su battelli. Da ora, un lungo, emozionante cammino sul tombolo (istmo) della laguna. Circa 12 chilometri di lunghezza per una larghezza che varia da 500 metri ad 1,5 chilometri. E sembra di essere lontani dal mondo. Si comincia in una bella pineta di pino napoletano, si prosegue tra spiagge equatoriali e macchia mediterranea, ancora stupefacente nonostante gli incendi che pure ne hanno banalizzato la composizione. Lì c’è la variante garganica dell’orniello con il frassino meridionale. Ed ancora, tra mirto, erica arborea, leccio e ginepri coccoloni e fenici, testuggini palustri e testuggini di terra ecco il cisto di clusio, specie rarissima ed endemica salvata dall’estinzione con un progetto regionale negli anni ’90 ed oggi di nuovo a rischio. A foce Cauto dove l’acqua di mare e l’acqua dolce coesistono grazie alle fantine, risorgive di quest’ultima, si allevano anche le mazzancolle. Poi ci si trova a Torre Scampamorte (torre di avvistamento del XV secolo). Fino a qualche anno fa, pure di fronte al relitto della nave Eden (misteriosamente naufragata agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso e senza che si sia mai avuta notizia di carico ed equipaggio), ora rimosso. Lo spazio stringe e quindi si prosegue soffermandosi sulla sacca orientale della laguna di Lesina, riserva naturale statale biogenetica. Qui si può vedere il ben di dio di uccelli migratori e stanziali. Si tralascia l’obbrobrio di Torre Mileto che ancora grida vendetta, e sulla strada a scorrimento veloce ci si può fermare, tornando un po’ indietro, alla fonte di S. Nazario (o Cáldoli) dove l’acqua sgorga alla temperatura costante di 18°. Vicino, l’omonimo santuario, luogo del cuore FAI, sovrapposizione cristiana ad un antico tempio pagano dedicato al taumaturgo Podalirio. Dopo circa 20 chilometri da qui, si scende a San Nicola Imbuti sul lago di Varano, dopo monte d’Elio. Un idroscalo della prima guerra mondiale ma ben prima monastero benedettino dipendente da quello di S. Maria delle Tremiti e da quello di S. Maria di Kàlena a Peschici.

Vista di Rodi Garganico (Foto Fabio Modesti)

I boschi dell’anima

E tra Cagnano Varano, Carpìno, Ischitella e Vico del Gargano si risale per il sacro monte garganico nei boschi comunali per poi arrivare a Foresta Umbra. È per il bene dell’anima che ci si perde in questi boschi. Dalla fine del XVIII con frate Michelangelo Manicone da Vico del Gargano e la sua “La Fisica Appula”, alla metà degli anni ’50 del secolo scorso con l’istituzione della prima riserva naturale a Foresta Umbra ad opera del prof. Pàvari (4 ettari a valle Sorgentola), all’acquisizione di ulteriore territorio forestale al demanio statale prima con i boschi di Manatecco e di Ischitella e poi con le acquisizioni da parte del prof. Vittorio Gualdi tra il 1964 ed i 1973, la tutela delle foreste garganiche (il nemus garganicus) si è rinforzata. Hanno certo contribuito anche Italo Insolera con Italia Nostra e Sabino Acquaviva ed un giovane Franco Tassi. Ora quelle foreste, patrimonio molto materiale ma anche dell’anima, sono tutelate e fruite. Le faggete depresse di Ischitella dove il faggio vegeta già a circa 250 sul mare, in cui si riscontra spesso anche l’agrifoglio, sono testimonianze delle vestigia naturali straordinarie del promontorio. E lì i faggi si alternano ai cerri (il nome Ischitella deriva da “Ischio” che identifica il genere quercus) che si congiungono a quelli di Vico creando un unicum spaziale, dove i boschi non vengono più gestiti per ritorno economico. Sono boschi comunali che quelle comunità hanno ben gestito nei secoli. Questa è solo la parte nord del Gargano. Da ora si ci addentrerà nel nemus garganicus per uscire a sud della Montagna sacra, agli eremi tra i valloni e la pseudosteppa, sul golfo di Manfredonia sperando di cogliere il volo della gallina prataiola.

Fabio Modesti

Vista di Monte Pucci – Peschici – (Foto Fabio Modesti)

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