Corriere della Sera dell’11 marzo 2022, p. 11
di Fabio Modesti
Dice Elon Musk, patron di Tesla, l’uomo che ha sviluppato con maggiore successo la tecnologia elettrica sugli autoveicoli, «Odio dirlo, ma dobbiamo aumentare immediatamente la produzione di petrolio e gas. Tempi straordinari richiedono misure straordinarie». La dura realtà si impone. La discussione sulla ricerca di piena indipendenza dai combustibili fossili in Puglia appare poco ragionevole. Questa Regione ha vissuto varie “ere” di produzione energetica. La prima orientata alla presenza di una centrale nucleare da collocare in ogni dove, dall’Alta Murgia fino alla costa meridionale tarantina e, alla fine, non realizzata. La seconda con le megacentrali ad olio combustibile, a carbone ed a turbogas, con Enel e grosse aziende private a fare il bello ed il cattivo tempo in tutti i sensi. La terza, ad inizio di questo secolo, con l’esplosione di rinnovabili ovunque, prima eolico e poi fotovoltaico con impianti frazionati per non incappare nelle valutazioni ambientali e la discesa dei grandi gruppi industriali del nord e di fondi di investimento esteri. Non un megawatt di rinnovabili ha mai sostituito uno prodotto dalle centrali tradizionali. Così la Puglia è diventata “esportatrice netta” di energia. Da tempo gli obiettivi fissati a livello comunitario per la limitazione di produzione di CO2 in atmosfera sono stati raggiunti pro quota dalla Puglia, in particolare con l’eolico. Un’operazione costata ai contribuenti pugliesi oltre 1,5 miliardi di euro per sovvenzionare impianti che portano ricchezza altrove. Ora, si dice “basta all’avversione alle rinnovabili”. Lo si dice con lo stesso atteggiamento che si ebbe in favore dell’insediamento di impianti che alla Puglia hanno portato pochi benefici e parecchi danni. La storia si ripete ammantandosi di greening, di un ambientalismo ancor più di facciata di quello ufficiale. Così, è quasi disdicevole parlare di pianificazione energetica, di individuazione immediata, giuridicamente legittima, di aree idonee e non idonee all’installazione di impianti di rinnovabili anche perché una modifica del piano paesaggistico può avvenire solo previa, improbabile, intesa con lo Stato. E, in questa logica del “tutto, ovunque e comunque”, è altrettanto disdicevole proporre di coprire con gli specchi prima di tutto le aree degradate, le zone industriali ed artigianali, i tetti degli edifici pubblici e privati e non i suoli agricoli o le aree marine. Si sostiene che ciò non serva a soddisfare il fabbisogno di oltre 70 gigawatt di rinnovabili da installare ma “solo” più della metà. E buttala via questa soluzione trovando l’altra metà con una serie di interventi di efficientamento energetico degli edifici (tutti) e di recupero di calore (teleriscaldamento, ad esempio). E si dovrebbe ben sapere, oltretutto, che le rinnovabili richiedono materie prime, terre rare e metalli critici di cui è dominus unico mondiale la Cina, non proprio un esempio di Stato di diritto e democratico al pari della Russia di Putin.