È poi così determinante per la tutela dell’ambiente e della biodiversità avere animali geneticamente “puri”? Oppure la storia naturale, e quindi dell’umanità, è costellata da scambi continui tra specie e territori? Paolo Breber ci spiega perché non è poi così necessario essere intransigenti (Villaggio Globale trimestrale – settembre 2020)
egli ultimi decenni c’è stato un grande aumento di studi e di interesse generale in Italia per la Natura. Uno degli aspetti emersi è il dibattito sulla definizione di specie alloctone, autoctone, indigene, endemiche, aliene, ecc. Da argomento di discussione piuttosto bizantina in ambito accademico, man mano che questo modo di considerare le specie è percolato in basso nella dimensione più laica del protezionismo e amore per la Natura ha assunto connotati morali. Limitandoci alla più carismatica fauna vertebrata, le specie che hanno assunto maggior valore per gli amanti della Natura sono quelle che esistono solo in Italia e non sono mai esistite da nessuna altra parte; prime fra tutte quelle dei nostri preziosissimi anfibi. Quasi altrettanto preziose sono le specie che in Italia presentano forme subspecifiche come, ad esempio, l’orso marsicano, il lupo italico, il camoscio appenninico. Quest’ultima specie o sottospecie, però, rischia di essere degradata in quanto c’è già qualcuno che vocifera una sua possibile importazione dai Pirenei.
Genetica ed illusioni
Meno valutata è la fauna in comune con altri paesi come il cervo, daino, capriolo, cinghiale e orso bruno alpino. In questi casi le popolazioni si possono ricostituire in caso di estinzione locale anche se l’esame del DNA, permettendo di rilevare le più minuziose differenze genetiche, complica ulteriormente la questione. Ma anche senza DNA il discorso resta complicato: mentalmente c’è una bella differenza tra il cervo dell’alta Val Venosta giunto con le proprie gambe dalla vicina Svizzera e il cervo dell’Appennino reintrodotto dall’uomo. Ci si domanda se gli orsi importati in Trentino dalla Slovenia hanno fatto in tempo ad accoppiarsi con quei due o tre esemplari residui del posto preservando in questo modo un minimo di DNA indigeno. A seconda della risposta la valutazione cambierebbe. Che differenza c’è tra gli stambecchi del Gran Paradiso dove non sono mai scomparsi, quelli che hanno ripopolato spontaneamente i massicci circostanti e quelli che l’uomo ha introdotto su montagne lontane dove una volta c’erano?
Daini, cinghiali e problemi mentali
Il daino è un vero problema mentale. Pur essendo un cervide caratteristico dell’ambiente mediterraneo-mediorientale, gli studiosi lo vogliono alloctono, e quindi disprezzato, perché non sono ancora riusciti a dimostrare la sua presenza in Italia dai tempi dell’ultima glaciazione, diecimila anni fa or sono. Il muflone, fino a poco tempo fa orgoglio della nostra fauna, ora si trova trascurato da quando gli studiosi ci hanno detto che non si tratta d’altro che di una pecora tornata allo stato selvatico.
Anche l’istrice, la “spinosa”, presente in Europa solo in Italia ed elemento della cultura contadina (fa parte della gastronomia clandestina e con i suoi aculei ci si ricavano i galleggianti delle lenze) è moralmente squalificato perché sicuramente importato dall’Africa (ma non si sa quando e perché). Il cinghiale attuale, poi, così grande e proliferante rispetto a quello di una volta, è considerato con disprezzo un “incrocio col maiale, importato dall’Ungheria” secondo una leggenda molto consolidata. Qui ci sarebbe da obiettare che anche il nostro cinghiale antico aveva tutto l’agio di accoppiarsi coi maiali quando questi venivano portati a pascolare nei boschi (come avviene tuttora in Sardegna), e la maggiore taglia e fecondità si possono spiegare con l’accesso recente ad un territorio molto più vasto e nutriente rispetto a quello una volta disponibile.
Tra sciacalli dorati, gamberi killer e nutrie
Come la mettiamo con lo sciacallo arrivato da poco con le proprie gambe dai Balcani? Non è mai esistito nell’elenco della nostra fauna. In fondo è un alloctono (disprezzato) però la sua presenza è spontanea (apprezzato). Si arriva così alla fauna spazzatura: la nutria, ormai diffusissima e considerata assolutamente priva di valore naturalistico. In realtà si è inserita perfettamente da noi andando ad occupare una nicchia ecologica vacante. È ormai da tempo elemento familiare del paesaggio, non fa più meraviglia, e c’è già chi comincia ad apprezzarne le carni. Quando una specie viene accolta nella cultura gastronomica locale non c’è parere dotto che possa cancellarne la patente di “nostrana”. Infine, pur non essendo un vertebrato, non è possibile omettere di menzionare lo scandaloso “gambero killer” (non si capisce perché lo hanno chiamato così visto che è vegetariano). Le condanne senza appello e le analogie col coniglio in Australia non sono mancate da parte dei naturalisti. Costoro devono però tenere conto che questo gambero originario degli S.U., dove è reputato una ghiottoneria, popolando densamente le nostre acque calde e stagnanti di pianura piuttosto inquinate, dove a volte nemmeno il Carassio riesce a vivere, è andato a costituire una biomassa alimentare a disposizione di una vasta schiera di uccelli acquatici che sono in cima alla lista delle preferenze dei birdwatchers, e sta dando una mano importante al ritorno della preziosissima lontra che se ne ciba avidamente.
La scienza, la tv ed il pubblico
Il compito della scienza è solamente di descrivere e spiegare mentre è la società che esprime giudizi di valore. Il fatto che certe definizioni della zoologia vengano interpretate dal pubblico come valutazioni è dovuto alla intermediazione della televisione che ci da documentari dalle meravigliose immagini ma alle quali corrisponde un commento parlato di scarso rigore semantico.
Paolo Breber