La storia, le falesie fragili, l’incanto del paesaggio agrario di almeno tre secoli fa. Tra il mare ricco di biodiversità ed un paesaggio costiero unico in Terra di Bari, è stato istituito un Parco Naturale Regionale con molti interrogativi (la Repubblica-Bari, 28 agosto 2020)
asciamo l’incanto della costa tra Otranto e Santa Maria di Leuca con il suo parco regionale. Risaliamo molto lungo l’Adriatico, superiamo importanti e conosciute aree protette come Le Cesine a Vernole, le Saline di Punta della Contessa a Brindisi, Torre Guaceto a Carovigno. Superiamo anche le splendide biocostruzioni marine recentemente scoperte dai biologi dell’Università di Bari a circa 1,5 miglia davanti a Monopoli, tra i 30 ed i 55 metri di profondità. Un banco coralligeno, esteso circa 2,5 km, caratterizzato da strutture edificate da madrepore (Phyllangia americana mouchezii e Polycyathus muellerae) per una superficie totale di circa 5 ettari. E superiamo anche, dinanzi a Polignano a Mare, lo Scoglio dell’Eremita che ospita l’unica colonia nidificante (se lasciata in pace) in Adriatico di Gabbiano corso (Larus audouinii), specie super protetta tanto che lo Scoglio è ora zona tutelata ai sensi delle norme europee nel quasi totale disinteresse dell’amministrazione comunale. Arriviamo così in quella che è l’immagine di questa parte della Terra di Bari cristallizzata ad almeno un paio di secoli fa. Si chiama Costa Ripagnola. Ripagnola ha una sua storia, come tutti i luoghi che abbiamo toccato nei nostri itinerari.
Ripagnola e la sua storia
È la storia dell’orticoltura che accompagnava l’olivicoltura negli appezzamenti tra i centri urbani e la costa. Lì si è sviluppata l’“arboricoltura di complemento” che diventa “giardino mediterraneo” di cui fanno parte noci e fichi (spesso utilizzati per sostenere le viti), ciliegi e carrubi (o cornuli), peschi e melograni, meli, peri (anche in varietà selvatiche, come la calaprice) e agrumi di ogni tipo. E’ la storia dei “pagghiari” (i trulletti di cui parleremo più avanti), di pescatori-contadini e viceversa. È storia di grotte ai lati delle lame (alcune anche tombate) che solcano Ripagnola. È storia di falesie fragili, di risorgive di acqua dolce nascoste tra gli scogli. È storia di torri di avvistamento costiere, quelle cinquecentesche di cui è costellata quasi tutta la costa pugliese, alcune delle quali (come quella di Ripagnola il cui abbattimento fu appaltato dallo Stato nel 1957 per 300.000 lire) non esistono più. Questo quadrilatero, di cui il lato costiero misura neanche 4 km, ha una superficie di meno di 300 ettari e racchiude in sé elementi paesaggistici e naturalistici unici. Macchioni di lentisco e di mirto accanto ad un ginepreto impiantato almeno 50 anni fa ed ora divenuto habitat importante; lembi di pineta accanto a distese di fichi d’india e capperi; conchette costiere per la produzione di sale da cucina dalle quali i pescatori riescono a ricavarne ancora oggi fino ad un quintale, utilizzando una conca di circa 1 metro cubo di volume e tre vasche di sedimentazione con superfici da 0,5 ad 1 metro quadro.
Lo spettacolo del carsismo ed il feudatario croato
Le cinque lame evidenti che attraversano Ripagnola hanno ciascuna caratteristiche diverse: lama di Turi, ad esempio, confluisce in lama Monsignore e finisce in una caletta bellissima con ciottoloni bianchi. Qui alcuni blocchi di tufo di dimensioni megalitiche, posti in due file che scompaiono all’interno dei ciottoli, ricordano un sistema di deflusso delle acque marine tipico di un antico impianto di acquacoltura di cui si è persa traccia e memoria. La decina di grotte censite hanno origini diverse: alcune si aprono lungo la scarpata del gradino murgiano (Grotta di Masseria del Monte e Grotta di S. Barbara) e sono caverne generate da antiche sorgenti che versavano le proprie acque lungo i fianchi del terrazzamento; altre sono il risultato della circolazione d’acqua lungo un solco torrentizio dove, penetrata in una cavità di frattura, ne ha allargato le crepe ed ha prodotto i successivi sviluppi (grotte della Gravina di Monsignore, della lama di Macchialunga, della lama di S. Giovanni). Ci fa da guida in questo itinerario lo storico polignanese Gianni Talenti. È lui a dirci che quest’area era attraversata dal ramo costiero della via Traiana ed era tra le immense proprietà di Marino Radulovich, marchese polignanese e mercante d’olio nato a Ragusa (attuale Dubrovnik) il 1560 e morto a Napoli nel 1648, che trasformò in uliveti oltre 400 ettari di macchia mediterranea. È ancora Talenti a raccontarci delle “frizioni” da sempre esistite tra polignanesi e feudatari ed abitanti di Conversano che utilizzavano il porticciolo e le cale naturali di Ripagnola per commerciare con l’altra parte dell’Adriatico. È sempre Talenti a rammentarci che «con l’acquisto del feudo di Polignano da parte della famiglia La Greca nel 1795, Ripagnola risultava divisa in due grandi aree: la prima confinante con il territorio di Mola, era rimasta in parte macchia mediterranea, intervallata da alcune aree di terreno agricolo coltivabile. Per questo motivo, la famiglia La Greca, e i successivi eredi, decisero di suddividere questo vastissimo territorio in tanti piccoli lotti di circa tre “Opere”, complessivamente circa 10.000 mq., che assegnarono in fitto a moltissime famiglie contadine. Quasi tutte rimasero a coltivare i terreni ricevuti fino al terzo quarto del 1900».
Difendere Costa Ripagnola dagli inganni
Nel tempo il suolo è stato sottratto alla vegetazione naturale, è stato dissodato e le pietre utilizzate per realizzare i “trulletti”. Costa Ripagnola, dimenticata dai più, tenta ancora di difendersi e di difendere anche la prateria di posidonia, estesa per quasi 2.500 ettari, distante poche centinaia di metri dalla costa. La difesa dovrebbe derivare dalla legge istitutiva del parco naturale regionale approvata il 28 luglio scorso ma il condizionale è più che d’obbligo. Per scoprire Ripagnola consigliamo di rivolgersi al Comitato I Pastori della costa-Parco subito https://www.facebook.com/I-pastori-della-costa-Parco-Subito-3699202267796179) – ipastoridellacosta@gmail.com – tel. 333 498 6240.
Fabio Modesti
Interessante viaggio tra le note storiche riguardanti questo luogo per lo più sconosciuto a noi cittadini baresi, ignari dell’esistenza di un patrimonio paesaggistico unico e ricco di suggestioni!!