La Corte costituzionale dichiara illegittima una norma introdotta dalla legge di stabilità 2020 della Regione Molise con la quale si voleva aprire la caccia a cinghiali ed altre specie cacciabili ritenute in sovrannumero per tutta la durata della stagione venatoria, senza indagini e monitoraggi e senza il parere obbligatorio dell’ISPRA. La Consulta ribadisce che, comunque, prima di metter mano ai fucili, devono essere utilizzati metodi ecologici.
In copertina: stipa, cinghiali e ferule (foto Francesco Ambrosi)
È stata ancora una volta la Corte costituzionale a dover dirimere un conflitto nato dalla gestione delle popolazioni di cinghiali. Questa volta è stata chiamata ad esprimersi, su richiesta del governo, sulla legge regionale del Molise n. 1 del 30 aprile 2020 (legge di stabilità regionale 2020). In quella legge, una norma, l’articolo 12, comma 5., lett. a), aggiunge all’articolo 27 della legge molisana sulla caccia del 1993, un comma, l’1-bis, con il quale si stabilisce che il quale stabilisce che «Ai fini della tutela del patrimonio agroforestale, socio-economico, sanitario e nel riequilibrio ecologico della fauna selvatica, qualora la presenza sul territorio regionale di una specie faunistica venabile risulti eccessiva, la Giunta regionale, ai fini della riduzione delle criticità arrecate, può con propri atti estendere il periodo del prelievo venatorio per l’intero arco temporale inteso dall’inizio al termine dell’intera stagione venatoria». In pratica, per motivi “ambientali”, sanitari e “socio-economici” (ed infine per ricomporre squilibri ecologici) si può cacciare qualsiasi specie cacciabile risulti in sovrannumero per tutta la stagione venatoria che, solitamente, va da settembre a fine gennaio. Pur non sapendo in base a quali dati ed a quali indagini queste specie risultino in sovrannumero (ma, come vedremo in seguito, il riferimento è al cinghiale).
La sentenza della Consulta
La sentenza della Corte costituzionale n. 113/2021 depositata il 31 maggio scorso, accogliendo le numerose censure del Governo, non ha fatto mancare le bacchettate sulle mani di un legislatore evidentemente troppo in ascolto della “pancia” di qualche organizzazione venatoria. Così, i giudici costituzionali hanno avuto gioco facile nel dire che in base alla norma nazionale in materia (articolo 18 della Legge n. 157/1992) la modifica apportata dal Consiglio reginale molisano è illegittima. Infatti, «contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della resistente – […] in base al citato art. 18, se i termini dei periodi di caccia sono modificabili, non lo sono, invece, le relative durate, che non possono essere superiori a quelle stabilite, e che, comunque, non possono essere estese all’intera stagione venatoria». «In altre parole – prosegue la Consulta – se la Regione si avvale del potere di anticipare l’apertura, deve anticipare anche la chiusura», citando una sentenza del Consiglio di Stato (sezione sesta, 22 marzo 2005, n. 1170). La Regione Molise ha così violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, perché ha ridotto il livello di protezione della fauna selvatica stabilito dalla legge nazionale. Peraltro, continua la Corte, la norma della Regione Molise impugnata dal Governo non prevede neanche il parere dell’ISPRA che invece viene imposto come obbligatorio dalla legge nazionale per modificare i periodi di caccia e questo è un ulteriore motivo di illegittimità. Infine, e la cosa non è di poco conto soprattutto ora, con tutta questa smania di sparare fucilate soprattutto ai cinghiali dappertutto e comunque, la Consulta riafferma il principio di gradualità nell’esercizio del controllo della fauna selvatica da parte delle Regioni. «Tale attività, infatti, – dice la Corte costituzionale citando la Legge n. 157/1992 – deve essere svolta di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica [ISPRA]» e solo in caso di verificata inefficacia di tali metodi le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento».
Prima i metodi ecologici
«Né – conclude la sentenza – osta a tale conclusione la considerazione dell’indubbia problematica, sottolineata dalla resistente, derivante dall’invasiva diffusione dei cinghiali selvatici nel territorio regionale. In disparte il rilievo che la norma impugnata si riferisce a qualsiasi specie cacciabile, e non solo agli ungulati, non è in ogni caso superfluo rammentare che questa Corte, riconoscendo le rilevanti criticità prodotte sugli ecosistemi dall’aumento costante e significativo delle popolazioni di determinate specie di fauna selvatica, ha recentemente ammesso che nei piani di abbattimento possano essere coinvolti, a precise condizioni, anche soggetti ulteriori rispetto a quelli elencati dal citato art. 19, comma 2. [della Legge n. 157/1992], in tal modo aumentando la potenzialità di efficacia di tali strumenti».
Fabio Modesti