Cinghiali impazzano sul web più che nella realtà. Ma le popolazioni sono oggettivamente in aumento. Il silenzio pugliese sulla Peste Suina Africana, almeno nella prevenzione, e l’inerzia regionale nel contenere numericamente gli ungulati con metodi ecologici prima che con lo sparo. La Corte Costituzionale nel frattempo cambia orientamento e concede che i piani di abbattimento regionali prevedano la partecipazione di cacciatori e guardie giurate private.
In copertina, branco di cinghiali in Alta Murgia – foto ©Federico Morimando
La pandemia da SARS-CoV-2 ha ridotto la pressione umana sugli ecosistemi e specie come i cinghiali hanno continuato a proliferare incrementando il numero e, allo stesso tempo, quantità e valore dei danni arrecati anche agli ecosistemi. Aumentati esponenzialmente negli ultimi decenni a causa delle immissioni in natura da parte dei cacciatori, ora i cinghiali rappresentano, ben oltre le opportunità di prelievo venatorio, un rischio per l’economia, già provata, con la Peste suina africana (Psa) dietro l’angolo.
Sulla Peste Suina Africana zero notizie in Puglia
Ci siamo occupati della faccenda chiedendo che si mettesse in atto un programma di prevenzione e di sorveglianza attiva dell’epidemia giunta ormai, proprio con i cinghiali, quasi alle porte del nostro Paese. Nessuno ha risposto a livello regionale; è come se la Psa non fosse affar nostro. E, allora, si parla continuamente, oziosamente, del rischio cinghiali per le colture e per la sicurezza dei cittadini. Così sui mezzi d’informazione vengono riportate (ingigantite) le notizie di “attacchi” da parte di cinghiali nei confronti di bipedi umani. L’ultima, nel Parco regionale dei Castelli Romani, a Castel Gandolfo – residenza estiva papale – con un ragazzino in bicicletta urtato e “morso” da un cinghiale spuntato fuori da un cespuglio. Altri episodi sono accaduti anche in Puglia. Le occasioni sono tali per cui, ad esempio, sui maggiori mezzi d’informazione si chiedono provvedimenti draconiani: una sorta di soluzione finale in stile Goering mediante fucilazione (tipo quella avvenuta a Roma tra i palazzi).
Gli abbattimenti selettivi non sono attività venatoria
Lungi, da parte di chi scrive, affrontare la questione con spirito animalista ché non gli appartiene, val la pena ricordare che l’attività di abbattimento di specie selvatiche che determinano verificati squilibri ecologici ovvero problemi sanitari e di tutela delle produzioni e del patrimonio culturale, non è un’attività venatoria ma, appunto, di ripristino degli equilibri ecologici. Ed infatti la legge (sulla caccia, n. 157/1992, art. 19) prevede che i piani di controllo delle specie in sovrannumero vengano attuati principalmente con metodi ecologici su parere dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra) e che solo dopo che lo stesso Istituto abbia verificato l’inefficacia di questi si passi ai piani di abbattimento. Capita a fagiolo, in questi giorni, la pronuncia della Corte Costituzionale sulla legittimità di una legge della Regione Toscana, in parte modificando il proprio orientamento espresso ancora nella sentenza n. 217/2018 con cui si escludevano i cacciatori tout-court dall’attuazione dei piani di abbattimento, riservandola “tassativamente” agli agenti dei corpi di polizia regionale, provinciale e comunale ed ai proprietari e conduttori dei fondi su cui effettuare le operazioni, purché tutti muniti di licenza di caccia.
Il cambio di rotta della Consulta
Questa volta, con la sentenza n. 21/2021, la Consulta ha sancito il principio per cui all’attuazione dei piani di abbattimento di specie in sovrannumero (nel caso di specie, il cinghiale), oltre che gli agenti dei corpi di polizia, possano contribuire, sotto il coordinamento dei primi, anche i cacciatori e le guardie giurate formati ed abilitati a seguito di specifico corso con programmi concordati con Ispra. Ciò anche a causa del quadro istituzionale nel frattempo ingarbugliatosi con la perdita di competenze da parte delle province e con lo smembramento dei corpi di polizia provinciale. Insomma, un favore ai cacciatori purché “formati”. Nulla quaestio. Ora, però, in Puglia si faccia quel che si deve per ridurre il numero di cinghiali, come prevede la legge. Ossia, fuori dalle aree protette, prima di tutto con metodi ecologici – che sono vari ed anche sperimentali, inclusa a questo punto anche la sterilizzazione chirurgica, e devono essere ponderati – e poi il resto. Il problema vero è che per mettere a punto piani di controllo numerico di una specie c’è bisogno di dati raccolti in un lasso di tempo adeguato (anni) ed elaborati su basi scientifiche. Quello che ancora oggi in Puglia, ad esclusione di un Parco nazionale che ci ha lavorato per dieci anni, non esiste. E si continua a blaterare ed a stracciarsi le vesti.
Fabio Modesti
Si, portiamo i cinghiali in sala operatoria per sterilizzarli; essendo tanti, facciamogli posto togliendoli agli ammalati di covid. Poi aspettiamo anni per raccogliere i dati. Poi altri anni per le misure ecologiche (quali?), finché gli esperimenti daranno esito positivo. Poi formiamo gli agricoltori e allevatori (vittime innocenti ma meno importanti dei cinghiali), che prima devono conseguire la licenza di caccia. Poi…poi…poi…Sagunto viene espugnata. Ma l’importante è che i cinghiali vengano salvati e protetti. Gli uomini? E chi se ne importa. Si arrangino iun po’ da soli. Mica sono cinghiali, loro….
Grazie per il commento, Bianca. Il tempo che fin qui è stato perso, lo è stato per incapacità delle amministrazioni (in)competenti ad assumere iniziative. Ora il problema deve essere affrontato nel rispetto della legalità e la Corte Costituzionale, cambiando orientamento, ha detto cose rilevanti. Ma se nessuno fa nulla, al di là del Parco Nazionale dell’Alta Murgia che ha cominciato ad agire da diversi anni, la questione si ripropone. Ed il bouquet delle azioni da poter mettere in pratica è variegato, comprese le sterilizzazioni chirurgiche – almeno in via sperimentale -. Non bisogna dire no e pensare che i fucili siano la soluzione. Anzi, per la gestione di questa specie sono l’eterogenesi dei fini perché è scientificamente dimostrato che la caccia di selezione aumenta la proliferazione. E la peste suina africana non è uno scherzo. Ma sembra non importi a nessuno prevenirla.
Non è la mia materia, ma su numeri così ampi – come sono quelli della popolazione di cinghiali (5-600mila esemplari in Italia, credo) – la tecnica della sterilizzazione mi sembra di difficile applicazione. Ho letto un articolo nel quale, citando una ricerca scientifica, Genovesi, responsabile del coordinamento fauna selvatica di Ispra, affermava che la sterilizzazione non possa realmente rappresentare un’alternativa all’abbattimento (e si riferiva al fatto che vaccini contraccettivi che possano essere somministrati per via orale ancora non ce ne sono). Se poi anche la caccia di selezione (che mi pare tecnica più “scientifica” rispetto alla braccata) aumenta la proliferazione, allora, siamo messi proprio male…o no?
Caro Gianni, intanto stiamo parlando di sterilizzazione chirurgica che, pur con tutte le riserve sottolineate anche da ISPRA, è una delle diverse misure da poter adottare nella strategia di contenimento delle popolazioni di cinghiali. In Piemonte, ad esempio, è una tecnica che si sta utilizzando, col benestare dell’ISPRA, sulle nutrie e pare funzioni (http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/natura/item/4299-il-caso-delle-nutrie-metropolitane).
Signora Tragni,
d’accordo, ma Lei – poi – cosa fa in favore degli esseri umani ?
Beh, qui mi sento di prendere le parti di Bianca Tragni. Chi non la conosce non sa, forse, della sua importanza per il territorio dell’Alta Murgia. In forma di docente alle scuole superiori e di scrittrice. Consiglio di andare a cercare un po’ di biografia e di pubblicazioni. Poi, si può non essere d’accordo su tutto ma Bianca fa una cosa fondamentale per gli essere umani: scrive.
Quando puoi incidere l’attività di predazione dei lupi sui cinghiali per contenere la popolazione di questi ultimi?
Incide, certo, ma non in numero sufficiente per una riduzione sensibile delle popolazioni di cinghiali.
Lupi contro cinghiali? Meglio lupi contro pecore….(per i lupi)!!!
Il problema dei cinghiali è reale e concreto, e uno dei metodi per mitigarli è quello della riduzione numerica. Come prima misura, tuttavia, bisognerebbe applicare la prevenzione delle coltire e la dissuasione (non mi dilungo sull’argomento). Dando per scontato che il “controllo” sia la scelta privilegiata, questo può essere effettuato con le armi da fuoco, con la cattura tramite recinti (chiusini) e tramite la sterilizzazione. Personalmente ritengo che l’ultima opzione sia la meno funzionale e praticabile.
A seguito di una richiesta della Regione Abruzzo, l’ISPRA ha chiarito l’inefficacia della caccia nel controllo del cinghiale:
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Prot. 56445 del 1/12/2020
Oggetto: Richiesta di parere riguardo al prolungamento della Caccia collettiva al Cinghiale nel mese di gennaio – calendario venatorio 2020/2021.
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Per questi motivi, la caccia collettiva in braccata, non ha dimostrato efficacia nel contenere né le presenze di cinghiali né i danni da questi causati là dove, p.e., è stata impropriamente utilizzata per effettuare interventi di controllo ai sensi dell’art. 19, c.2, della L. n. 157/92 o in Istituti di protezione o in periodi diversi da quelli previsti all’art. 18, c. 1, lett. d) della L. n. 157/92. Pertanto, questo Istituto ritiene che difficilmente un eventuale prolungamento della caccia al Cinghiale avrà un qualche tangibile effetto nel contenimento dei danni che ci potranno essere tra la primavera e l’estate prossime e invita codesta Amministrazione a incentivare l’attuazione della caccia di selezione in tutto il territorio, a coinvolgere la componente venatoria e regolamentare l’attività al fine di rispondere, con Piani di prelievo mirati e selettivi, alle criticità individuate.
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A parere dello scrivente (zoologo), sulla base di una esperienza pluridecennale nel controllo di questi ungulati, il metodo migliore per la riduzione numerica dei cinghiali è quello dei recinti di cattura (chiusini), sotto tutti gli aspetti, in quanto elimina il problema della destrutturazione demografica, è altamente selettivo, efficace ed efficiente, non presenta i problemi di pubblica incolumità legati all’uso delle armi da fuoco, consente un controllo approfondito e capillare degli aspetti sanitari, consente una qualità ottimale delle carni e, aspetto da non trascurare, è ripettoso del benessere animale.
Osvaldo Locasciulli
Certo, Osvaldo, è così.
Come già scritto stamane in un post precedente su fb, l’abbattimento funziona ma fuori dal mondo venatorio. In altre realtà, è il corpo di sorveglianza ad attuare praticamente questi piani. Manca, nei nuovi parchi, la grande e mitica figura del guardaparco. In Piemonte, per esempio, nel parco Orsiera-Rocciavrè, negli anni ’90, le guardie hanno ridotto, con gli abbattimenti, i mufloni in competizione coi camosci. Nel Gran Paradiso, le guardie continuano ad oltranza ad abbattere i cinghiali. In questo modo il mondo venatorio è fuori dalla programmazione gestionale ai fini della conservazione. Nei nuovi parchi, potrebbero essere i forestali a svolgere queste operazioni (solo se preparati!).
Non è un caso che le aree protette regionali hanno ancora i corpi di sorveglianza ed i Parchi Nazionali no. Ricordo che la ragione per cui nel 1991 il Parlamento scelse questa strada fu salvare il Corpo Forestale dalla regionalizzazione. Il risultato è una questione sistematica di rapporto tra i pur bravi e volenterosi ora Carabinieri Forestali e gli Enti Parco. I primi, infatti, sono alle sole dipendenze funzionali dei secondi e non anche da punto di vista gerarchico. Prima il CFS ed ora i Reparti dei Carabinieri Forestali dei Parchi hanno sempre sollevato eccezioni sulla possibilità che loro potessero abbattere fauna selvatica.
Cara Anna Maria, ti ho risposto indirettamente rispondendo a Rocco Sorino.