Da qualche tempo si sta facendo largo una concezione delle aree protette sempre più orientata al turismo, al tempo libero ed allo sport, senza disciplina. Forse, anche in questo caso, rispondendo “alla pancia” del cittadino medio, i territori e gli ambienti naturali per definizione più sensibili e delicati, vengono “fruiti” a prescindere da qualsiasi criterio gestionale.
E’ un periodo storico particolare, questo, per le politiche ambientali. Soprattutto per le politiche relative alla conservazione della natura. Siamo passati, in quasi 30 anni, da un sacro (e per molti versi ragionevole) furore protezionistico ad una sorta di deregulation accompagnata da slogan dogmatici, addirittura più dogmatici di quelli conservazionistici. E, quindi, dopo la protezione è ora la volta del “liberi tutti” con una terminologia quasi sempre poco appropriata, mutuata dal gergo scientifico ma che, in realtà, molte volte nasconde pensieri poco coerenti con la protezione.
Prendiamo il caso della definizione di “turismo sostenibile” (per qualcuno frutto di “assolutismo morale” come tutti i sostantivi accompagnati da “sostenibile”). Nel 1993 EUROPARC (la Federazione Europea delle Aree Protette) pubblicò lo sconcertante rapporto “Loving them to death”, “Amarli da morire” sull’impatto del turismo e la necessità di promuovere il Turismo Sostenibile nelle aree protette in Europa. Più tardi, nel 1995, EUROPARC iniziò a definire e promuovere la Carta Europea per il Turismo Sostenibile nelle Aree Protette. Da allora, a fronte degli ottimi principi e delle ottime intenzioni di Europarc e delle aree protette che hanno aderito alla Carta, in realtà si è deviato, con un’accelerazione straordinaria negli ultimi anni, verso una concezione delle aree protette come “divertimentifici”. In tutta Europa.
Abbiamo parlato qualche tempo fa di ciò che accade nel Regno Unito, nel Parco Nazionale di Lake District, oppure in Bulgaria, nel Parco Nazionale di Pirin. Ma potremmo continuare con gli esempi, italiani, come questo http://bari.repubblica.it/cronaca/2018/03/28/foto/la_murgia_in_fuoristrada-192410554/1/#1 , oppure ancora come questo https://www.ecodibergamo.it/stories/bergamo-citta/maresana-invasa-dalle-mountain-bikeproblema-di-sicurezza-sui-sentieri_1176898_11/, o infine come questo https://www.telebari.it/cronaca/9782-cassano-motocross-nel-parco-nazionale-dell-alta-murgia-24enne-denunciato-e-moto-sequestrata.html.
Insomma, il turismo e le attività di fruizione in genere, diventano, nelle aree protette, molte volte insostenibili. Sull’ecoturismo e sul suo impatto sugli ecosistemi delle aree protette, l’Università della California (UCLA) ha prodotto uno studio (pubblicato nell’ottobre del 2015 sulla rivista scientifica Trends in Ecology & Evolution), dal quale emerge che «Le aree protette in tutto il mondo ricevono un totale di oltre 8 miliardi di visite all’anno. Questa enorme “richiesta di natura”, con l’ecoturismo, può essere aggiunta al lungo elenco di fattori che determinano un rapido cambiamento ambientale causato dall’uomo». Daniel Blumstein, autore senior dello studio,
Docente di Ecologia e biologia evolutiva e Direttore del medesimo Istituto presso l’UCLA, afferma che «Quando gli animali selvatici interagiscono in modi apparentemente benevoli con gli umani, possono abbassare la guardia. Gli animali che imparano a rilassarsi alla presenza degli umani, possono diventare più audaci in altre situazioni; se questo si trasferisce alle loro interazioni con i predatori, è più probabile che vengano feriti o uccisi». Ed ancora: «La presenza di esseri umani può anche scoraggiare i predatori naturali, creando una sorta di rifugio sicuro per animali più piccoli che possono renderli più audaci. Ad esempio, quando esseri umani sono nei pressi, i cercopitechi verdi hanno meno occasioni di predazione da parte dei leopardi. E nel Grand Teton National Park, alci ed antilocapre americane, in aree con più turisti, sono meno vigili e passano più tempo a mangiare». Blumstein rincara la dose: «L’ecoturismo ha su queste specie effetti simili a quelli della domesticazione e dell’urbanizzazione. In tutti e tre i casi, le interazioni regolari tra persone e animali possono portare ad assuefazione – una sorta di addomesticamento. La ricerca ha dimostrato che le volpi argentate domestiche diventano più docili e meno timorose, un processo che deriva da cambiamenti evolutivi ma anche da interazioni regolari con gli umani. I pesci addomesticati sono meno reattivi agli attacchi simulati di predatori. Gli scoiattoli volpe e gli uccelli che vivono nelle aree urbanizzate sono più lenti a fuggire dal pericolo». E parliamo solo di fauna selvatica. Se ci addentrassimo negli impatti della fruizione non regolata su paesaggio, suolo e vegetazione, dovremmo riempire decine di pagine.
Insomma, l’ecoturismo o il turismo sostenibile (che, come in tutti i casi nei quali gli aggettivi “eco” e “sostenibile” accompagnano sostantivi, appaiono formare ossimori) non è sempre un bene per le aree protette. Certo, ci sono casi e casi ma, in definitiva, i rischi di esporre territori per loro natura delicati e fragili ad una fruizione non disciplinata sono infinitamente maggiori di quelli derivanti da eventuali proteste lobbistiche, ad esempio di free-climber o cicloamatori.
Condivido pienamente queste osservazioni e la considerazione che ci si trova ormai di fronte una sorta di paradosso. Qualche anno fa si promuoveva (e per la verità lo si fa ancora oggi) la ‘fruizione sostenibile’ delle aree protette che non dovevano essere più viste come dei contenitori di natura ‘chiusi’ e pieni di divieti ma luoghi aperti a visitatori, con tanto di infrastrutture e accessori (cartellonistica, sentieristica ecc.).
Così, nel frattempo, in tutta la regione negli ultimi anni sono nati diversi gruppi, associazioni e micro-aziende per la promozione escursionistica nelle aree naturali (protette e non), con possibilità di visite guidate tutto l’anno soprattutto nei week-end (la famosa destagionalizzazione dell’offerta turistica). E’ nato (o meglio è cresciuto) un nuovo mestiere, quello delle Guide Ambientali (private ovviamente, non quelle messe a disposizione dai Parchi).
Fin qui tutto ok, le mie prime considerazioni su tutto questo erano positive. Molti giovani hanno trovato un buon lavoro.
Occupandomi di monitoraggi nelle aree protette, nel tempo ho iniziato a percepire gli effetti negativi e le conseguenze delle visite periodiche dei gruppi di escursionisti, prima gruppetti contenuti …. poi sempre più numerosi, fino a diverse decine a visita, ogni settimana, ogni mese … tutto l’anno.
I piccoli sentieri si sono via via allargati. Con i grandi numeri aumentano anche le possibilità che qualcuno nei gruppi si lasci ‘scappare’ qualche rifiuto, incarti di merende, bottigliette di plastica e tutto ciò che ha a che fare col tabagismo (perché i più viziosi fumano anche durante le escursioni). Qualcuno addirittura è stato ‘pizzicato’ a raccogliere ciò che non poteva essere raccolto. Per non parlare poi del disturbo arrecato alla fauna selvatica durante i periodi di riproduzione e nidificazione.
Ho anche incontrato i famigerati motociclisti off-road in pieno Parco Alta Murgia che ‘sfruttavano’ i percorsi nati per le mountain-bike. Ecco, forse già quello è stato un problema. Non dovevano esserci percorsi per mountain-bike nelle aree naturali del Parco. Non perché questo sia di per se sbagliato, ma perché prima o poi la situazione sfugge di mano e dalle bici si passa alle moto (e addirittura i quad, una sorta motocross con quattro ruote). Non si può fare affidamento sul buon senso dei cittadini. Purtroppo, non funziona.
Ci vogliono regole, controlli e quando ci vuole anche le punizioni.
Forse nel tempo ci sarà una nuova inversione di tendenza, o semplicemente ci si accorgerà che sono sempre più necessarie degli opportuni regolamenti altrimenti altro che ‘turismo sostenibile’, il turismo nelle aree protette rischia di diventare uno degli impatti più significativi per queste aree.
Grazie, Giuseppe, per la tua qualificata testimonianza.