Corriere del Mezzogiorno – Puglia del 22 settembre 2023, pag. 1
di Fabio Modesti
Camminare in questo periodo nei territori coperti da pascoli naturali sui Monti Dauni, in Capitanata, sulle Murge e nel Salento fa piangere. Non più il giallo estivo della vegetazione naturale erbacea secca tipica, della stipa e delle altre graminacee che compongono quell’habitat della Regione biogegrafica mediterranea protetto dall’UE al massimo livello. No, solo il nero del fuoco che ancora una volta ha azzerato quella vegetazione. L’incendio dei pascoli naturali viene declassato, di solito, rispetto a quello dei boschi, eppure quelle fiamme determinano danni ecologici profondi. Sul Corriere del 17 settembre scorso è stato meritoriamente evidenziato che nel disegno di legge (n. 107/2023) proposto dalla Giunta regionale pugliese relativo a modifiche alla legge n. 1/2023 sulla gestione forestale, è presente una norma di abrogazione del divieto di raccolta di funghi, di asparagi e di lumache sui suoli non boscati percorsi dal fuoco. E se nella relazione di accompagnamento al disegno di legge si motiva, più o meno convincentemente, il perché delle modifiche apportate alla prima legge di quest’anno, arrivati al punto dell’abrogazione della norma di cui ci occupiamo non troviamo alcuna motivazione. E, allora ci si domanda: perché abrogarla? I motivi per cui i pascoli naturali vengono bruciati sono molteplici. Nella civiltà rurale e pastorale i pascoli vengono bruciati per consentire alle greggi di avere erba tenera che spunta appena arrivano le prime piogge autunnali. Ma nell’attuale società urbanizzata, in cui il patrimonio zootecnico che pascola all’aperto è quasi scomparso, altre sono le cause. Raccoglitori di funghi, di asparagi e di lumache, come recita la norma che si vuole abrogare, provenienti da ogni dove si danno da fare incendiando questi territori aperti per avere più facilità, con le prime piogge, nella raccolta di funghi (soprattutto cardoncelli selvatici) e di “municeddhe”, le lumache salentine che nel periodo caldo si rifugiano sottoterra. Inoltre, il calore del suolo favorisce la crescita dei germogli dell’asparago selvatico. Ora, se si pensa che un chilo di funghi cardoncelli selvatici viene venduto almeno a 30 euro, uno di asparagi selvatici viene venduto almeno a 25 euro ed uno di “municeddhe” selvatiche viene venduto ad almeno 40-45 euro, si capisce perché quella norma sensata possa essere stata oggetto di pressioni per essere abrogata. Tocca ora alla politica regionale non perseverare con norme che tengono in poca o alcuna considerazione il patrimonio naturale pugliese. Lo scetticismo, per ora, prevale.