Intervista ad Antonio Leone, docente ordinario di Pianificazione e valutazioni ambientali all’Università del Salento. In un’alluvione come quella accaduta in Romagna in cima a tutto c’è il pessimo uso del suolo e la sua impermeabilizzazione. Neanche l’agricoltura è esente da responsabilità. Il mantra poco utile della pulizia dei fiumi
In copertina, alluvione del 2005 a Bari, quartiere S. Rita con allagamento della ex cava Di Maso dove era stato realizzato un giardino comunale
di Fabio Modesti
Il professor Antonio Leone è persona schiva, che fa dell’understatement la sua cifra ma che dispone di una quantità di informazioni e di pensieri, elaborati su quelle informazioni, straordinaria. Dopo essere stato docente all’Università della Tuscia a Viterbo e poi al Politecnico di Bari, oggi insegna Pianificazione e valutazioni ambientali all’Università del Salento. Ed è uno dei maggiori esperti di analisi dei bacini idrografici. L’antica amicizia ci consente di parlare fuori dai denti. Prima di rivolgergli alcune domande sull’alluvione in Romagna, il professor Leone vuole fare una premessa: «Bisogna stare lontani dal conformismo ambientalista quanto da quello opposto. Quel che accade è accaduto molte altre volte in passato, ma oggi è tutto amplificato a dismisura da social media e da ignoranza grassa».
L’impermeabilizzazione dei bacini idrografici
D. Perché l’alluvione in Romagna? Perché le città non riescono a smaltire le quantità d’acqua piovana che sicuramente cadono in minor tempo?
R. Il problema principale è l’uso del suolo, che tende a impermeabilizzare il bacino. Certamente la prima causa di impermeabilizzazione è il costruito, edifici, ma soprattutto strade, raccordi, centri commerciali e capannoni soprattutto al nord. Lì sono nati come funghi a partire dagli sgravi fiscali per chi reinvestiva in azienda senza alcuna azione di valutazione di e prevenzione da rischi idrogeologici. Risultato, capannoni inutili a gogò.
D. Cemento unica causa?
R. No. In tema di impermeabilizzazione c’è poi da considerare l’agricoltura intensiva. I suoli esausti di sostanza organica tendono a formare croste molto poco permeabili. Altro che siccità, è la carenza di humus uno dei veri problemi.

D. Ma non è tutta colpa del cambiamento climatico?
R. Il cambiamento climatico è una concausa, non la principale perché i processi di cui ho detto prima pesano enormemente di più.
Il mantra della pulizia dei fiumi
D. Amministratori pubblici, locali e nazionali, ma anche tecnici del settore, sollevano con sempre maggiore frequenza la questione della pulizia degli alvei fluviali. È una questione ben posta?
R. La pulizia degli alvei è un altro mantra. A parte le importanti problematiche ecologiche, è vero che un alveo pulito smaltisce più acqua, ma questa diventa più veloce e distruttiva in caso di tracimazione. Poi c’è da considerare che un alveo con vegetazione trattiene l’acqua a monte e la rallenta. Insomma vanno fatte considerazioni tecniche approfondite, caso per caso.

D. Le nostre città, soprattutto quelle pugliesi, si sono sviluppate tenendo conto dei rischi connessi ad un territorio fragile, pieno, come nel caso pugliese, di antichi corsi d’acqua come le lame?
R. Le città sono ambienti altamente artificiali e impermeabili. La crescita delle periferie e dei paesi satelliti ha portato un sovraccarico al sistema di drenaggio, sia naturale che artificiale come la fogna bianca. Inoltre, quasi sempre sono stati tombati i fiumi urbani (il Bisagno a Genova, il Seveso a Milano, etc.). A Bari, che pure ha un sistema ottimale anche grazie alla foresta di Mercadante, le lame Picone e Montrone sono state deviate, ma tutto quello che c’è a valle è rimasto e gli allagamenti dei sottopassi, del quartiere Sant’Anna e l’inquinamento della spiaggia di Pane e pomodoro ce lo ricordano. Insomma, il sistema non regge e servono interventi costosissimi.
D. E le città si allagano, sono ripetutamente oggetto di alluvione…
R. Le città che crescono creano un sovraccarico ambientale, in termini di impermeabilizzazione ma anche di isola di calore. Qui i problemi sono ancora più complessi e le questioni urbanistiche si intrecciano con quelle idrauliche. Ad esempio, abbandonare quartieri storici semicentrali per costruire periferie contribuisce ai sovraccarichi ambientali. Rimanendo all’ambito idraulico, questi si “rappezzano” spesso con opere come le vasche di laminazione che possono certamente funzionare, ma si tratta sempre di toppe, a maggior ragione se non scaturiscono da una visione più ampia. Anni fa avevo proposto alla Regione Puglia di introdurre norme sull’invarianza idraulica delle trasformazioni urbanistiche. Attendo ancora fiducioso…
D. E quindi, che si fa dopo l’alluvione in Romagna?
R. Sono problemi di enorme complessità che solo un’accorta pianificazione può affrontare e la scala giusta è quella di bacino, come insegna il “caso Mercadante” degli anni ’30 del secolo scorso, decisamente virtuoso. In tempi non sospetti, nel 2021, la Corte dei conti rilevò l’inefficienza dei commissari straordinari, puntualmente nominati per affrontare l’emergenza. Possono andare bene per i primi mesi, per affrontare emergenze sanitarie e sociali, ma non sono i commissari adatti alla pianificazione, senza la quale le opere che appaltano sono inutili e qualche volta dannose.
