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Con il «federalismo comunale» si torna a stagioni quasi medievali

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Corriere del Mezzogiorno – Puglia dell’8 dicembre 2022, pag. 5

di Fabio Modesti

L’editoriale di Claudio Scamardella sul Corriere di sabato scorso titolato “Il fallimento del regionalismo”, induce considerazioni sui poco più di cinquant’anni dell’esperienza regionalistica in Italia. Induce chi scrive, inoltre, a recuperare ricordi personali. Riascolto la voce di mio padre Giovanni, giornalista e regionalista, raccontarmi di quando con Gennaro Trisorio Liuzzi, primo presidente della Regione Puglia sollevarono per la prima volta la saracinesca della sede in via Capruzzi a Bari. Mi rivedo quattordicenne varcare il portone degli uffici del Consiglio regionale sempre con mio padre. Poi, dal 1990 al 2005 dentro la Regione Puglia a mettere in piedi il sistema per la conservazione della natura. Limitandomi, così, all’esperienza delle Regioni nelle materie di cui mi occupo, protezione della natura, essa è stata entusiasmante, almeno fino ad un certo punto. In Puglia nella prima legislatura (1970-1975) almeno tre proposte di legge: una per la tutela delle zone umide (non approvata), una per istituire parchi naturali attrezzati (discutibile ma anticipatrice) ed una (importante ma purtroppo non applicata) sull’istituzione e gestione di riserve naturali. In Lombardia nasceva il parco del Ticino, prima esperienza di pianificazione territoriale regionale. Mentre lo Stato arrancava. Poi? Si è ecceduto nel riconoscere alle Regioni competenze legislative concorrenti? Si è costruito un quadro costituzionale ed istituzionale fluido che ha alimentato la conflittualità tra Stato e Regioni? La risposta è sì, in particolare con la pessima riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. La Consulta è chiamata da oltre vent’anni a distribuire bacchettate allo Stato (poche) ed alle Regioni (molte). Per di più quella modifica costituzionale, risposta dei governi di centro-sinistra alle pressanti richieste leghiste di “federalismo” (ma quale federalismo?), ha incrementato il divario Nord-Sud. Nel Mezzogiorno, carente di coesione civica e sociale, si sono sviluppate classi dirigenti connotate da populismo e personalismo. Scamardella propone un municipalismo, che chiama federalismo comunale, in grado di realizzare la missione fallita del regionalismo. Ma appare un ritorno a stagioni antiche, quasi medievali, con i Comuni (quelli del Carroccio?) protagonisti della vita politica di un Paese che stenta ancora a divenire Nazione e dove un municipalismo siffatto potrebbe esacerbare conflitti istituzionali e costituzionali. I Sindaci vivono oggi un protagonismo determinato da una legge sugli enti locali che offre loro spazi di manovra mai avuti prima, ai limiti del podestariato. Pensare che uno Stato moderno possa basarsi su quelle esperienze, ancorché positive, appare a dir poco pericoloso. Se federalismo si deve perseguire che sia quello autentico, non certo municipale, dove la libertà delle decisioni è anche responsabilità ma dove lo Stato federale ha poteri significativi e li esercita anche sul miglior Sindaco e sul miglior Presidente di Regione.

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