Le saline di Brindisi, un’oasi che sfida i veleni sullo sfondo

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(Natura fuori porta la Repubblica – Bari 19 dicembre 2019)

 

Lavorazione carciofeti con l’ausilio del vomere trainato da un cavallo davanti alla centrale di Brindisi sud-Cerano anni ’80 e ’90 del secolo scorso (Foto Antonio Sigismondi)

 

L’immagine è stampata nella mia memoria. Specchi d’acqua pieni di uccelli migratori, il sole al tramonto, un uomo intento ad arare il terreno con un vomere trainato da un cavallo e sullo sfondo il mostruoso petrolchimico di Brindisi. Quella visione mi apparve a fine anni ’90 del secolo scorso durante la visita di un funzionario del Segretariato RAMSAR che doveva stabilire se le saline di Punta della Contessa, saline regie dal 1200 fino al 1700, avessero “i numeri” (cioè specie ed individui per specie di uccelli migratori) per essere dichiarate zona umida d’importanza internazionale. La cosa non andò a buon fine probabilmente per la drammatica presenza della zona industriale a nord e della centrale di Cerano a sud. Ma “numeri” le saline ne hanno eccome. La presenza di migratori è quantomeno pari se non superiore a Torre Guaceto, che invece zona Ramsar lo è; la diffusione di habitat tutelati a livello comunitario non è da meno e la sola compresenza di natura e contronatura costituirebbe una valida ragione per dichiararla “Ramsar”. Oggi, però, le saline, dal 2002 divenute riserva naturale orientata regionale estesa circa 1.700 ettari e affidata in gestione al comune di Brindisi, vivono una situazione critica. Gli affollati stormi di fenicotteri rosa, avocette e cavalieri d’Italia testimoniano la strabiliante biodiversità ostentata di fronte alla sua negazione e che altro non aspetta – oltre le obbligatorie bonifiche dai veleni – se non d’essere conservata, potenziata e divulgata. Perché Brindisi è ancora la sua antica storia gloriosa alla faccia di chi le ha voluto e le vuole male.

Fabio Modesti

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