Tra le potenziali conseguenze non intenzionali delle aree protette vi sarebbero le attività illegali. Un gruppo di economisti e ricercatori universitari colombiani e statunitensi (Gustavo Canavire-Bacarreza – Universidad EAFIT, School of Economics and Finance, Medellín, Colombia; Julian Eduardo Diaz-Gutierrez – The World Bank, Washington DC and School of Economics and Finance, Universidad EAFIT, Medellín, Colombia; Merlin M. Hanauer – Sonoma State University, Department of Economics, Rohnert Park, CA, USA), hanno analizzato i dati provenienti dalla Colombia per stimare l’impatto delle aree protette sulla violenza perpetrata da gruppi di guerriglieri. Lo studio, di cui pubblichiamo l’introduzione, pubblicato sul Journal of Environmental Economics and Management – Volume 89 del maggio 2018, dimostra che le aree protette istituite in Colombia prima del 2002 hanno aumentato significativamente il numero di attacchi di guerriglia nei Comuni colpiti durante l’ondata di violenze a metà degli anni 2000. I guerriglieri utilizzerebbero le aree protette come “paradisi” per condurre le loro operazioni e le stime di impatto sono in gran parte determinate dalla protezione nelle zone più rurali.
Le aree protette sono la forma più comune di intervento di conservazione nei Paesi in via di sviluppo e seguono numerose statuizioni legislative. Gli obiettivi generali sono racchiusi nelle categorie definite dall’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che vanno dalle rigide riserve naturali e aree wilderness (categoria I), alle aree naturali governate attraverso la gestione integrata (categoria IV). Un tema comune a tutte le categorie è che le aree protette dovrebbero aiutare a mantenere gli ecosistemi nel loro stato naturale. Per gran parte degli anni 2000 ci sono state numerose richieste di dimostrazione dell’alta qualità dell’impatto ambientale delle aree protette. Solo negli ultimi dieci anni le risposte a queste richieste hanno dimostrato che le aree protette nei Paesi in via di sviluppo hanno contribuito a ridurre la deforestazione ed a rafforzare i servizi ecosistemici. Durante lo stesso periodo, i legali di associazioni per la lotta contro la povertà esprimevano preoccupazione per il fatto che le aree protette potessero imporre conseguenze negative non intenzionali sulle comunità locali. Prove recenti suggeriscono che, in media, le aree protette non hanno accresciuto la povertà, ma studi che stimano l’eterogeneità degli impatti mostrano che ci sono vincitori e perdenti socioeconomici a seconda della localizzazione dell’are protetta. Qui esploriamo altre potenziali conseguenze indesiderate derivanti dall’istituzione di aree protette. Nello specifico, indaghiamo la misura in cui le aree protette della Colombia sono servite a catalizzare o ad attenuare le attività violente di guerriglia durante l’ondata di conflitti civili della metà degli anni 2000.
La maggior parte degli studi sulla relazione tra ambiente e conflitto si concentra su come le condizioni ambientali possono alterare la stabilità politica e conseguentemente innescare disordini e violenze civili. In una recente meta-analisi, Hsiang et al. (2013) sostengono che, ad esempio, le variazioni di temperature normali, di precipitazioni e della disponibilità di acqua sono correlate con il
conflitto politicamente organizzato. Studi simili hanno studiato come i livelli di violenza si relazionano agli shock dei prezzi delle materie prime e come le caratteristiche biofisiche possano anche intensificare ed estendere tali conflitti. Tuttavia, ci sono poche analisi del rapporto tra conservazione ambientale e conflitto. Gli studi qualitativi esistenti su questo argomento affrontano la deforestazione, il disagio sociale e la necessità di porre un freno alle violazioni dei diritti umani nelle comunità colpite. Ad oggi, non ci sono prove quantitative sugli effetti delle iniziative di conservazione della natura, come le aree protette, sulla violenza. Piuttosto, la letteratura riguardante il rapporto diretto tra conflitto e aree protette è stata limitata a domande aneddotiche riguardanti sfratti forzati e sanzioni come sottoprodotti di conflitto o protezione a livello di comunità locali.
La Colombia offre una cornice ideale per affrontare i collegamenti tra aree protette e conflitti. È classificata tra i primi Paesi “megadiversi” del mondo (più della metà del territorio totale della Colombia è composto da foreste naturali ed ospita quasi il 10% della biodiversità mondiale. Secondo la Convenzione sulla diversità biologica, la Colombia è al primo posto per varietà di uccelli ed al secondo per piante, pesci d’acqua dolce e anfibi), una caratteristica che ha stimolato lo sviluppo di una vasta rete nazionale di aree protette negli ultimi decenni. Inoltre, il conflitto armato colombiano è uno dei conflitti più violenti del mondo, secondo solo alla guerra israelo-palestinese. Infine, in coincidenza con la proliferazione delle aree protette, le fazioni del principale gruppo di guerriglieri della Colombia hanno spostato le loro attività in aree più remote del Paese in risposta alle forze governative e paramilitari, proprio laddove si tende a localizzare le aree protette.
Poniamo a base dello studio due potenziali modi in cui le aree protette potrebbero influenzare le attività di guerriglia e le attività illegali nel senso più ampio. Il primo è legato al concetto di “conservazione della fortezza” , per cui le aree protette impediscono all’interno dei loro confini qualsiasi attività non autorizzata, tradizionalmente legale o meno. In base a questo scenario, ci aspettiamo che vi siano livelli differentemente inferiori di attività di guerriglia nelle aree protette, rispetto a territori simili non protetti. Al contrario, le aree protette potrebbero servire a limitare le attività economiche altrimenti legali (ad es. agricoltura, disboscamento, etc.), ma non le attività illegali associate ai gruppi di guerriglia. In questo scenario di “osmosi perversa”, i cittadini ligi alle regole si attengono agli statuizioni legali e impediscono le attività economiche, mentre i guerriglieri ignorano le regole. Di conseguenza, in questo scenario ci aspettiamo che ci siano livelli differentemente più alti di attività di guerriglia nelle aree protette, poiché esse fungeranno da area burffer aggiunta per le attività di questi gruppi.
Utilizziamo dati di alta qualità e un design di studio quasi sperimentale basato su approccio multiparametrico di raffronto per stimare in che modo il sistema nazionale delle aree protette della Colombia abbia influito sulla violenza delle attività di guerriglia. Troviamo così che le aree protette della Colombia istituite prima del 2002 hanno portato ad un aumento significativo della violenza di guerriglia durante l’ondata di conflitto sviluppatasi in tutto il Paese nella metà degli anni 2000. La nostra analisi suggerisce che le aree protette hanno il potenziale per fungere da rifugio sicuro per i gruppi illeciti, il che può anche avere implicazioni per i risultati ambientali che le aree protette sono deputate a raggiungere.
Per leggere lo studio integrale, clicca QUI.