La natura, in cui tutto è interconnesso, è un brillante esempio della forza e della brillantezza del collettivo. La comunità dei conservazionisti dovrebbe guardare al mondo naturale come fonte di ispirazione quando cerca di raggiungere il successo e l’impatto positivo delle proprie azioni, oltrepassando i suoi steccati e coinvolgendo in modo proattivo anche i partner più improbabili, inclusi finanza ed industria. Lo dice il fondatore e presidente della Arcus Foundation, Jon Stryker.
«Se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo condiviso di preservare la natura e vivere in modo sostenibile sul pianeta, il movimento internazionale per la conservazione avrà bisogno del gioco collettivo. Mentre le nostre azioni come ambientalisti individuali ed organizzazioni non governative sono importanti, è probabile che potremmo ottenere un impatto maggiore se colleghiamo il nostro lavoro e le nostre risorse in modo più efficace con quelli degli altri. Per “altri” mi riferisco non solo ad altri ambientalisti. Intendo anche comunità indigene, avvocati ed anche potenziali partner industriali». Così si esprime Jon Stryker, fondatore e presidente della Arcus Foundation, una no-profit con sedi a New York e Cambridge, nel Regno Unito, in un suo intervento apparso sul blog “Crossroads” dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
Stryker continua: «Anche se può sembrare improprio includere qualcuno che storicamente abbiamo percepito come “il problema stesso” oppure come ostacolo per la risoluzione del crescente conflitto tra interessi economici umani e natura, la terribile situazione che abbiamo di fronte ci pone l’obbligo di diventare più pragmatici nella scelta di chi può collaborare con noi.
Sono arrivato a convincermi fortemente di questo negli oltre due decenni durante i quali ho dedicato tempo e risorse significative alla conservazione delle scimmie sia personalmente che attraverso il mio ruolo di fondatore e presidente della Fondazione Arcus. Molto spesso, vedo progetti che operano in isolamento – progetti pensati e gestiti da una sola persona o da una sola organizzazione – e mi chiedo se il coordinamento con altri collaboratori o anche con alcuni partner “improbabili” avrebbe potuto produrre risultati migliori ed ottenere un impatto maggiore».
Stryker si pone il problema di comprendere se il mondo della conservazione della natura stia spendendo le scarse risorse di cui dispone, agendo senza il beneficio di intuizioni che sarebbero potute essere disponibili attraverso partners diversi, moltiplicando gli sforzi o addirittura impedendo il successo di altri progetti meritevoli. «Nel nostro movimento – prosegue Stryker – c’è stata a lungo reticenza a lavorare con alcuni partner che la storia e la percezione hanno rappresentato quali nemici della natura, o che vedono il mondo attraverso obiettivi diversi. Molte aziende e organizzazioni vedono lo sfruttamento delle risorse naturali come essenziale per i loro modelli di business e per il loro guadagno economico. Ciò ha spesso portato a rifiutare ad impegnarsi con le imprese e l’industria. Quando ci impegniamo – dice Stryker -, possono accadere cose buone come il gigante alimentare Danone che annuncia la sua ambizione di diventare una società a “zero emissioni” attraverso la sua catena di approvvigionamento, oppure Bridgestone che si impegna al “No alla deforestazione, No allo sfruttamento” e Cargill che promette di “accelerare” la progressione verso una filiera globale trasparente del cacao che consenta agli agricoltori ed alle loro comunità di ottenere migliori redditi e standard di vita fornendo un’offerta sostenibile di cacao e prodotti a base di cioccolato».
Secondo Stryker il commercio illegale di scimmie vive fa parte della sfida per la loro conservazione in Africa ed in alcune parti dell’Asia. Le giovani scimmie vengono prelevate da popolazioni selvatiche, spesso con numerose vittime nel gruppo, e trasportate in aree remote (tra cui Cina, Vietnam, Medio Oriente e parti dell’Europa orientale) come animali domestici, esibizioni in zoo non accreditati, o nel settore dell’intrattenimento.
Insomma, l'”intelligenza con il nemico” o, per meglio dire, la collaborazione con il nemico (che nei codici penali militari costituiscono fattispecie di reato punibili con la pena di morte, anche in Italia!) può funzionare per raggiungere obiettivi di conservazione di specie selvatiche o di habitat? E’ una vexata quaestio, direbbe qualcuno e, peraltro, ci sono esempi non certo fulgidi di associazioni ambientaliste che più che di intelligenza con il nemico sono state protagoniste di finanziamenti illeciti per chiudere bocca, occhi ed orecchie. E non è detto che questo andazzo non prosegua. Però Stryker pone una questione vera. Il bracconiere che diventa guardiaparco è una figura classica della “riconversione” lavorativa in favore della natura. Il caso dell’azienda petrolifera che si pulisce l’anima finanziando progetti di conservazione o analisi delle acque di balneazione, però, è questione un po’ diversa. Nessuno ci garantirà mai che quell’industria modifichi il suo modo d’essere ed il suo impatto negativo sulle risorse naturali. In Italia abbiamo precedenti tutt’altro che edificanti. Ma, come si dice, chi ha memoria vive male.